15 luglio 2018 - XV Domenica del T.O.: il primo annuncio è l'andare insieme
News del 14/07/2018 Torna all'elenco delle news
Prese a mandarli a due a due. Ogni volta che Dio ti chiama, ti mette in viaggio. Viene ad alzarti dalla tua vita installata, accende obiettivi nuovi, apre sentieri.
A due a due e non ad uno ad uno. Il primo annuncio che i Dodici portano è senza parole, è l'andare insieme, l'uno al fianco dell'altro, unendo le forze.
Ordinò loro di non prendere nient'altro che un bastone. Solo un bastone a sorreggere il passo e un amico a sorreggere il cuore. Un bastone per appoggiarvi la stanchezza, un amico per appoggiarvi il bisogno di comunione.
Né pane, né sacca, né denaro nella cintura; e ordinò di non portare due tuniche. Partono senza nulla di superfluo, anzi senza neppure il necessario. Decisivi non sono i mezzi, decisive non solo le cose, ma la fede che «solo l'amore crea» (san Massimiliano Kolbe).
Come se Gesù dicesse ai suoi: Voi vivrete di fiducia: fiducia in Dio, che non farà mancare nulla, e fiducia negli uomini, che apriranno le loro case. «Bagaglio leggero impone il viaggio e cuore fiducioso. Domani non so se qualcuno aprirà la porta ma confido nel tesoro d'amore disseminato per strade e città, mani e sorrisi che aprono case e ristorano cuori...» (M. Marcolini).
Gesù ci vuole tutti nomadi d'amore: gente che non confida nel conto in banca o nel mattone ma nel tesoro disseminato in tutti i paesi e città: mani e sorrisi che aprono porte e ristorano cuori. La leggerezza del nomade è la sua ricchezza, lo porta verso gli altri e gli permette di riceverne i doni, di essere accolto come ospite.
Mi provoca, mi mette con le spalle al muro la povertà di mezzi degli inviati. Vanno bene i pescatori del lago di Galilea, va bene anche un bovaro come il profeta Amos. E nessuno di noi ha meno di loro. Nessuno può dire io sono troppo piccolo per poter diventare testimone del Vangelo, troppo povero, non ho mezzi o cultura.
E allora vado bene anch'io, perché il discepolo annuncia con la sua vita: il mio segreto non è in me, è oltre me, oltre le cose.
La forza della Chiesa, oggi come allora, non sta nei numeri o nelle risorse o nei mass media, ma risiede nel cuore del discepolo: «L'annunciatore deve essere infinitamente piccolo, solo così l'annuncio sarà infinitamente grande» (G. Vannucci).
Sorprende che Gesù insista più sulle modalità dell'annuncio, che non sui contenuti di esso. E proclamarono che la gente si convertisse, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. La conversione: vedere il mondo in altra luce, salpare verso cieli nuovi e terre nuove, una nuova architettura del mondo e di rapporti umani.
Che è già iniziata. Le loro mani sui malati annunciano appunto che Dio è già qui. È vicino a te con amore. È qui e guarisce la vita.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Il vero missionario riproduce il volto di chi lo invia
Gesù sa bene quanto abbiamo bisogno dell’altro, di un ‘tu’ con cui condividere il cammino, di uno sguardo capace di comprendere il nostro, di una voce che ci ridesti quando lo scoraggiamento e la fatica si fanno sentire, di una mano che ci indichi il cielo quando la terra su cui camminiamo ci fa dimenticare da dove siamo partiti e dove stiamo andando. Il Signore, prima ancora di fornire direttive, intesse relazioni; prima ancora di affidarci un compito, ci dona un fratello e ci chiama ad essere custodi l’uno dell’altro. A due a due, dunque, non da soli.
È questa l’esperienza di ogni discepolo chiamato da Gesù a vivere la missione, momento che segna il passaggio dall’apprendistato del semplice simpatizzante alla affidabilità del seguace che entra a far parte stabilmente della famiglia di Cristo. Anche nei momenti in cui sembra che non ci sia nessuno, in cui sente più forte il vuoto della solitudine, il discepolo non deve farsi vincere dalla paura, perché Gesù ha già pronto per lui un compagno di viaggio col quale non solo la testimonianza diventa credibile (per il Deuteronomio erano necessarie almeno due persone per la validità di una deposizione), ma rende visibile il cuore dell’annuncio, ossia l’amore fraterno. La missione consiste anzitutto in una battaglia contro il male, contro quegli «spiriti impuri» che Gesù ha già scacciato ma che continuano a imperversare fino a quando esisterà un solo uomo sulla faccia della terra, perché Satana intende strappare da ogni creatura la somiglianza con Dio. L’unico rimedio contro questo piano diabolico è per i discepoli «riprodurre il volto di chi li invia» (Silvano Fausti), affinché gli uomini, vedendo riflessa su di essi l’immagine di Cristo, provino nostalgia della loro Origine. Ora, il volto di Gesù è il volto di un povero, e questo è il motivo per il quale i mezzi della missione sono mezzi poveri, «nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura». Non è assolutamente facile entrare in questa fiducia, in questo abbandono alla provvidenza di Dio. C’è sempre una parte di noi che vorrebbe essere più preparata prima di partire, avere un programma dettagliato di tutto quello che dovrà fare e dire, possedere la capacità di far fronte ad ogni evenienza e dimostrare così di essere all’altezza della situazione. Ma Gesù non chiede questo! Gesù ci chiama prima di tutto a stare con Lui e poi ci manda, così come siamo, limiti e difetti compresi. Non vuole dei super eroi a cui non manca nulla, perché i ‘super apostoli’ rischiano di esibire soltanto le loro doti, che possono anche essere attraenti per un po’, ma che non sono in grado di trasmettere il respiro dell’eterno. Solo un bastone: la fede che ti sorregge nel cammino; la determinazione per contrastare i pericoli che attentano alla fede stessa; il discernimento per battere il sentiero del bene. Si tratta di «uno stile che fa intravedere la volontà di spogliazione» e che soprattutto «accetta quella che forse è la prova più grande per il missionario: il fallimento» (Enzo Bianchi). È uno stile quindi sobrio che si fonda poco sulla forza seducente della parola dell’evangelizzatore e molto sulla testimonianza di una vita rivestita da una sola tunica, l’habitus dell’appartenenza a Cristo. Per questo il discepolo è libero, come attestano i sandali che calza, tipici dell’uomo non più schiavo, e come tale non è ossessionato dal successo della missione, sia perché sa che questa non è sua ma di Cristo, sia perché non deve fornire alcun risultato a poteri umani ma è tutto orientato al richiamo dell’Assoluto. Da qui si comprende il gesto franco che Gesù simbolicamente evoca in caso di mancata accoglienza: «scuotete la polvere sotto i vostri piedi», secondo l’usanza di scrollarsi di dosso ogni residuo di terra pagana quando si entrava nella terra santa. Se da un lato il vangelo deve entrare nella «casa» per imperniare di verità e bellezza la vita quotidiana dell’uomo, dall’altro deve lasciare al destinatario la stessa libertà dell’annunciatore, senza «diventare assillanti, per non ottenere l’effetto contrario, quello di infastidire le persone e allontanarle definitivamente dalla fede» (Fernando Armellini). Il versetto conclusivo del vangelo attesta come il comando di Gesù prende corpo nella storia degli uomini; non è un’utopia ma è storia che si compie grazie alla fiducia di Cristo nei suoi e alla generosità di un obbedienza che genera altri figli del Padre celeste. Mettiamoci tutta la nostra fede per non interrompere questa fecondità che perdura ininterrotta da duemila anni.
Gesù sa bene quanto abbiamo bisogno dell’altro, di un ‘tu’ con cui condividere il cammino, di uno sguardo capace di comprendere il nostro, di una voce che ci ridesti quando lo scoraggiamento e la fatica si fanno sentire, di una mano che ci indichi il cielo quando la terra su cui camminiamo ci fa dimenticare da dove siamo partiti e dove stiamo andando. Il Signore, prima ancora di fornire direttive, intesse relazioni; prima ancora di affidarci un compito, ci dona un fratello e ci chiama ad essere custodi l’uno dell’altro. A due a due, dunque, non da soli.
Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it
Prese a mandarli a due a due
Secondo l'Antica Scrittura ogni testimonianza era valida se fatta da due testimoni concordi. Gli Apostoli e i missionari del Vangelo sono veri testimoni di Cristo Gesù.
Colui che dovrà morire sarà messo a morte sulla deposizione di due o di tre testimoni. Non potrà essere messo a morte sulla deposizione di un solo testimone. La mano dei testimoni sarà la prima contro di lui per farlo morire. Poi sarà la mano di tutto il popolo. Così estirperai il male in mezzo a te (Dt 17,6-7). Un solo testimone non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato uno abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre testimoni (Dt 19,15).
Nel Libro del Qoelet viene annunziato che quando si è in due, ci si sorregge a vicenda.
Meglio essere in due che uno solo, perché otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se si dorme in due, si sta caldi; ma uno solo come fa a riscaldarsi? Se uno è aggredito, in due possono resistere: una corda a tre capi non si rompe tanto presto (Qo 4,9-12).
Dio diede a Mosè come aiuto e sostegno nella missione il fratello Aronne.
Mosè disse al Signore: «Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l'altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua». Il Signore replicò: «Chi ha dato una bocca all'uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? Ora va'! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire». Mosè disse: «Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!». Allora la collera del Signore si accese contro Mosè e gli disse: «Non vi è forse tuo fratello Aronne, il levita? Io so che lui sa parlare bene. Anzi, sta venendoti incontro. Ti vedrà e gioirà in cuor suo. Tu gli parlerai e porrai le parole sulla sua bocca e io sarò con la tua e la sua bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare. Parlerà lui al popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci di Dio. Terrai in mano questo bastone: con esso tu compirai i segni» (Es 4,10-17).
Lo Spirito Santo volle che la missione presso i pagani fosse svolta da Paolo e Barnaba.
C'erano nella Chiesa di Antiòchia profeti e maestri: Bàrnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaèn, compagno d'infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo. Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Bàrnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati». Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono (At 13,1-3).
Gesù non è stato mandato solo. Il Padre lo avvolse con il suo Santo Spirito. Mai però svolse il suo ministero da solo. Era sempre accompagnato dai suoi discepoli.
Gesù vuole che la Madre sua sia con Giovanni e Giovanni con la Madre sua.
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé (Gv 19,25-27).
A due a due spiritualmente, discepolo e Spirito Santo, discepolo e Madre di Gesù. Ma anche a due a due materialmente: apostolo con apostolo, cristiano con cristiano.
Madre di Gesù, Angeli, Santi, fate che i discepoli di Gesù vivano in perfetta comunione.
Omelia a cura del Movimento Apostolico - rito romano
Liturgia e Liturgia della Parola della XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 15 luglio 2018
tratto da www.la chiesa.it