8 luglio 2018 - XIV Domenica del T.O.: lo scandalo di vedere Dio come uno di noi
News del 07/07/2018 Torna all'elenco delle news
Gesù andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Missione che sembra un fallimento e invece si trasforma in una felice disseminazione: «percorreva i villaggi insegnando». A Nazaret non è creduto e, annota il Vangelo, «non vi poté operare nessun prodigio»; ma subito si corregge: «solo impose le mani a pochi malati e li guarì». Il rifiutato non si arrende, si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L'amante respinto non si deprime, continua ad amare, anche pochi, anche uno solo. L'amore non è stanco: è solo stupito («e si meravigliava della loro incredulità»). Così è il nostro Dio: non nutre mai rancori, lui profuma di vita.
Dapprima la gente rimaneva ad ascoltare Gesù stupita. Come mai lo stupore si muta così rapidamente in scandalo? Probabilmente perché l'insegnamento di Gesù è totalmente nuovo. Gesù è l'inedito di Dio, l'inedito dell'uomo; è venuto a portare un «insegnamento nuovo» (Mc 1,27), a mettere la persona prima della legge, a capovolgere la logica del sacrificio, sacrificando se stesso. E chi è omologato alla vecchia religione non si riconosce nel profeta perché non si riconosce in quel Dio che viene annunciato, un Dio che fa grazia ad ogni figlio, sparge misericordia senza condizioni, fa nuove tutte le cose. La gente di casa, del villaggio, della patria (v.4) fanno proprio come noi, che amiamo andare in cerca di conferme a ciò che già pensiamo, ci nutriamo di ripetizioni e ridondanze, incapaci di pensare in altra luce.
E poi Gesù non parla come uno dei maestri d'Israele, con il loro linguaggio alto, ?religioso?, ma adopera parole di casa, di terra, di orto, di lago, quelle di tutti i giorni. Racconta parabole laiche, che tutti possono capire, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione.
E allora dove è il sublime? Dove la grandezza e la gloria dell'Altissimo? Scandalizza l'umanità di Dio, la sua prossimità. Eppure è proprio questa la buona notizia del Vangelo: che Dio si incarna, entra dentro l'ordinarietà di ogni vita, abbraccia l'imperfezione del mondo, che per noi non è sempre comprensibile, ma per Dio sempre abbracciabile.
Nessun profeta è bene accolto nella sua casa. Perché non è facile accettare che un falegname qualunque, un operaio senza studi e senza cultura, pretenda di parlare da profeta, con una profezia laica, quotidiana, che si muove per botteghe e villaggi, fuori dal magistero ufficiale, che circola attraverso canali nuovi e impropri. Ma è proprio questa l'incarnazione perenne di uno Spirito che, come un vento carico di pollini di primavera, non sai da dove viene e dove va, ma riempie le vecchie forme e passa oltre.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Lo scandalo di un Dio dal volto troppo umano
Chi di noi, almeno una volta, non ha pensato che se fosse stato contemporaneo di Gesù di sicuro gli avrebbe creduto e lo avrebbe seguito, che bisognava essere ciechi per non capire che era il figlio di Dio? Eppure proprio i suoi compaesani, che conoscevano Lui e la sua famiglia, che lo avevano visto crescere e frequentare la sinagoga, rimangono scandalizzati dalle novità che Gesù porta. Sì, è proprio la novità, spesso invocata e attesa come rimedio a una vita ingiusta o anonima, a creare disagio quando non si è realmente pronti a riceverla.
E Cristo è una fonte zampillante di novità nel modo di concepire il rapporto con Dio e tra gli uomini: presenta un Padre misericordioso e siede a mensa con i peccatori; interpreta autenticamente la Legge e antepone l’uomo ad essa; sceglie come sua nuova famiglia un gruppo di persone semplici e supera l’assolutizzazione dei legami di sangue; predilige ciò che è piccolo e rifiuta ogni forma di messianismo trionfalistico. La novità di Gesù, secondo gli interrogativi dei Nazaretani, verte sulle parole, sulla sapienza e sui miracoli che Egli esprime. Perché la loro meraviglia non si trasforma in fede? Eppure certe parole che ti toccano il cuore hanno la capacità di disarmarti; certa saggezza che ti illumina la strada desta il desiderio di incamminarti; certi segni che ti sono dati suscitano il bisogno di donarti. Perché maturi la fede è necessario un altro requisito, oltre alla capacità di stupirsi e di percepire una novità, ossia la disponibilità ad accettare che il volto di Dio sia diverso da come te lo aspettavi. E il volto di Dio che Gesù manifesta è umano, troppo umano. Egli era «il falegname», un mestiere con poca speranza di guadagno, per gente senza terra, che «consisteva nell’aggiustare o fare piccole cose o attrezzi altrui – cosa che in genere un contadino si faceva da sé nelle stagioni morte» (Silvano Fausti). L’epiteto «figlio di Maria» in questo contesto suona come dispregiativo; «non lo ricollegano con il padre che, in Israele, rappresenta il legame con la tradizione dalla quale egli si è staccato» (Fernando Armellini). E noi? Siamo in grado di vedere nelle mani callose di un falegname l’origine della nostra salvezza? Una persona mi raccontava di un amico che, dopo aver passato tutta la vita lavorativa ad avvitare bulloni in una fabbrica, manifestava un tic nervoso alle mani, con un evidente movimento di rotazione continua. Te lo aspetteresti un Dio dai tratti così umanamente imperfetti per gli standard culturali di ieri o di oggi, dominati da un perfezionismo rituale o estetico e dalla cultura dello scarto? Per molti Dio dovrebbe essere ‘altro’, cioè tutto il resto che l’uomo non riesce a darsi per raggiungere i suoi obiettivi, quella parte mancante sempre agognata e mai raggiunta in pieno. Una tale idea di Dio è pericolosa, perché si vorrebbe piegare l’Assoluto ad una semplice integrazione, seppur di tutto rispetto, delle prerogative umane. Ma abbiamo poc’anzi detto che Gesù è novità e se lo accetti come tale devi essere disposto a farti sconvolgere, portare dove non vorresti, rinunciare in un attimo a tutto ciò che hai costruito per una vita in nome di un possesso più grande. Possiamo apprendere infinite nozioni su Dio ma non averlo mai incontrato, perché siamo chiusi dentro i nostri schemi e fatichiamo ad aprirci alla sua creatività. Occorre dunque la fede per passare dalla conoscenza all’amore. Da dove può nascere la fede? Il testo si conclude con un atto d’amore indomito di Gesù nei confronti dei suoi compaesani. La sua risposta al rifiuto «non si esprime con una reazione dura, con recriminazioni o condanne; come non si esalta per i successi, così Gesù non si deprime mai per un fallimento» (Ermes Ronchi) ed Egli, pur non potendo compiere grandi prodigi a causa dell’incredulità, «impose le mani a pochi malati e li guarì». Gesù continua ad amare anche se sono pochi coloro che si lasciano amare veramente, anche se è uno solo. Per questo il suo amore è caparbio e dovrebbe convincerci sulla sua incrollabilità, aprendoci in tal modo alla fede. Da parte nostra, basterebbe ricordare non solo quello che Dio ha fatto nella storia altrui, ma specialmente nella nostra storia, mentre invece siamo più bravi ad accantonare e dimenticare i suoi doni. Dallo stupore e scandalo dei Nazaretani, si passa alla meraviglia di Gesù per il cuore chiuso dei suoi. Ancora una volta il figlio di Dio si mostra autenticamente umano per farci comprendere che l’uomo è la via per arrivare a Dio. Non rendiamo vana la sua visita nella nostra «patria».
Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it
“Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?».
Ed era per loro motivo di scandalo”. È difficile riconoscere qualcosa di importante quando si è accecati dal pregiudizio. Credo che questa sia la lezione del Vangelo di oggi.
Si può essere anche Dio, ma per chi usa il pregiudizio conta di più di chi sei figlio, chi frequenti, come ti vesti, cosa hai fatto, da dove vieni, che scuola hai frequentato, cosa si dice in giro. Il pregiudizio è una forma grave di cecità, non ci permette delle volte di vedere più neanche le persone che ti vicino accanto, quelle che sono in casa tua, quelle che condividono con te la vita.
Per questo Gesù non può fare molti miracoli a casa sua, perché è difficile dare qualcosa a qualcuno che non crede che puoi dargli qualcosa. “Nessuno è profeta in patria”.
È la mancanza di fiducia che ci fa vivere accanto a persone che non ci danno più nulla, perché abbiamo smesso di credere che possono darci qualcosa il giorno che ha vinto il nostro pregiudizio nei loro confronti.
“Quello è così!”, e davanti a parole del genere non ci rimane che cambiare aria, come fa Gesù stesso.
Omelia di don Luigi Maria Epicoco tratta da www.cercoiltuovolto.it
Liturgia e Liturgia della Parola della XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 8 luglio 2018
tratto da www.lachiesa.it