6 maggio 2018 - VI Domenica di Pasqua: il tempo dello Spirito d'Amore

News del 05/05/2018 Torna all'elenco delle news

Grandi cose può fare lo Spirito Santo, Terza Persona del nostro Dio Trinità, che agisce con modestia e delicatezza per infondere i suoi doni su singoli e gruppi e per sostenere, guidare e animare. Senza la sua effusione nel giorno di Pentecoste a Gerusalemme, la Chiesa non avrebbe avuto lo sprone necessario per organizzare se stessa, per motivarsi, avere slancio e prodigarsi al meglio nella sua missione. Senza lo Spirito Santo gli apostoli non avrebbero potuto esercitare l'opera per la quale anche adesso ci troviamo a lavorare per il Regno di Dio, comunicando con tutti i mezzi l'Annuncio della Resurrezione e della salvezza e soprattutto senza l'incidenza dello Spirito la Chiesa non avrebbe potuto annoverare al seguito del Signore Gesù Cristo uomini di altre nazioni. L'episodio di cui al brano degli Atti degli Apostoli è allusivo a questo particolare aspetto missionario della Chiesa, che si trova ad inglobare anche persone dal popolo pagano, solitamente avulso e distaccato dalla fede nell'unico Dio d'Israele. In conseguenza di una visione di Pietro a casa di Simone Conciatore nella città di Cesarea, nella quale Pietro in sintesi aveva capito che ?nulla è impuro di ciò che Dio ha purificato?, incontrando Cornelio l'apostolo stesso concepisce come la visuale di Dio è ben più ampia dei pregiudizi umani: Dio non distingue purità e impurità, circoncisione e non circoncisione, ebrei o pagani, ma tutti sono invitati alla salvezza e alla comunione con lui. Niente di strano quindi che lo Spirito Santo di Dio possa rendere discepoli anche popoli e singoli uomini dell'ambiente pagano e miscredente. Lo Spirito Santo, appunto perché Dio stesso che santifica, rinnova ed esalta, si configura come dono gratuito e spontaneo che non conosce confini, etnie, appartenenze e supera le barriere con le quali noi siamo soliti discriminare gli altri. Lo Spirito è agente di unità nella diversità fra tutti i popoli ed effonde i suoi doni nella libertà e nella spontaneità che gli sono proprie. Non possiamo porre limiti al dono dello Spirito Santo con le nostre preclusioni e con i nostri pregiudizi.

Soprattutto perché lo Spirito è Amore del Padre e del Figlio effuso nei confronti di tutti. Sempre la sua azione silente e determinata al contempo esalta l'amore di Dio e ce ne fa fare esperienza, soprattutto perché attualizza continuamente in noi e attorno a noi la presenza di Gesù Risorto. Lo Spirito Santo permette che prendano forma in noi le garanzie di Gesù: ?Non vi ho chiamati servi, ma amici, perché il servo non sa cosa fa il suo padrone. ? Gesù in effetti vuole instaurare con noi un rapporto di apertura e di confidenza che abbia come primo obiettivo l'interazione con il Padre; ebbene è proprio lo Spirito Santo a realizzare questo percorso, che ci innesta nella mutua relazione con Dio in Cristo e sedimenta costantemente l'amore con lui. L'amore con lui che non può restare asettico e isolato, ma deve sprigionarsi nei confronti degli altri.

Sempre lo Spirito Santo muove e anima la Chiesa affinché, nella sua opera di annuncio si renda latrice dell'Amore con cui Dio Padre e Dio Figlio si amano mutuamente nello Spirito Santo per effondere lo stresso Amore su di noi e nonostante le nostre resistenze nella Chiesa l'attività dello Spirito in tal senso è sempre perdurante e mai arrendevole e Dio attende con pazienza che in Cristo siamo tutti davvero suoi amici e non succubi servi passivi.

Mi sovviene a questo punto un racconto molto significativo. In un'sola felice convivevano serenamente, in pace, tutti i sentimenti, buoni e detestabili: Amore, Orgoglio, Gioia, Tristezza, ecc. Un giorno fu annunciato che l'isola sarebbe sprofondata e immediatamente tutti i Sentimenti si organizzarono ciascuno con la sua barca per partire. Solo l'Amore restò privo d'imbarcazione e chiese ad altri il favore di essere trasportato all'altra riva. Passò la barca possente della Ricchezza e l'Amore le chiese un passaggio. La Ricchezza rifiutò categoricamente: ?No, no, qui c'è tanto oro, argento, diamanti... Non c'è posto per te.? Passò la barca dell'Orgoglio, ma anche questi si negò di traghettare l'Amore: ?Qui è tutto perfetto, sopraffino, non posso prenderti con me.? L'Amore chiese senza successo anche alla Tristezza, ma anch'essa si negò: ?Sono talmente triste che voglio stare sola.? Mentre l'Amore cominciava a disperare di trovare un passaggio, improvvisamente sentì una voce che lo chiamava alle spalle: ?Vieni Amore, ti traghetto io con la mia barca?. Si voltò e vide un vecchio che stava sospingendo la sua barca dalla rena sui flutti. L'Amore ringraziò, salì immediatamente sulla barca dello sconosciuto e partirono. Arrivati all'altra riva, il vecchio lasciò l'Amore sulla terraferma e ripartì immediatamente, quasi scomparendo. L'Amore era rimasto molto contento di quell'''improvvisa cortesia, ma non era riuscito a capire chi fosse quel vecchio signore che lo aveva aiutato. Interrogò allora il Sapere: ?Mi puoi dire chi è quel vecchio che mi ha offerto gentilmente un passaggio?? ?Quello è il Tempo? Rispose il Sapere. L'Amore incalzò: ?Come? Il Tempo!?? E il Sapere saggiamente rispose: ?Si, perché solo il Tempo può farci comprendere quando l'Amore sia importante nella nostra vita?

Meditando su questo racconto, individuo che il nostro ?Tempo? è quello dello Spirito Santo, che nel corso della nostra vita ci fa comprendere l'Amore di Dio e la sua efficacia nella persona di Gesù Cristo. La Chiesa vive il questo tempo contrassegnato dallo Spirito, ma tutte le volte che fa prevalere presunzione, orgoglio, egoismo, cattiveria e altro che contrasta l'amore, in definitiva perde il proprio tempo.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Un Dio che da signore e re si fa amico, alla pari con noi

Una di quelle pagine in cui pare custodita l'essenza del cristianesimo, le cose determinanti della fede: come il Padre ha amato me, così io ho amato voi, rimanete in questo amore. Un canto ritmato sul vocabolario degli amanti: amare, amore, gioia, pienezza... «Dobbiamo tornare tutti ad amare Dio da innamorati, e non da servi» (L. Verdi).

E una strada c'è, perfino facile, indicata nelle parole: rimanete nel mio amore. Ci siete già dentro, allora restate, non andatevene, non fuggite via. Spesso noi resistiamo, ci difendiamo dall'amore, abbiamo il ricordo di tante ferite e delusioni, ci aspettiamo tradimenti. Ma il Maestro, il guaritore del disamore, propone la sua pedagogia: Amatevi gli uni gli altri. Non semplicemente: amate. Ma: gli uni gli altri, nella reciprocità del dare e del ricevere. Perché amare può bastare a riempire una vita, ma amare riamati basta per molte vite.

Poi la parola che fa la differenza cristiana: amatevi come io vi ho amato. Come Cristo, che lava i piedi ai suoi; che non giudica e non manda via nessuno; che mentre lo ferisci, ti guarda e ti ama; in cerca dell'ultima pecora con combattiva tenerezza, alle volte coraggioso come un eroe, alle volte tenero come un innamorato. Significa prendere Gesù come misura alta del vivere. Infatti quando la nostra è vera fede e quando

è semplice religione? «La fede è quando tu fai te stesso a misura di Dio; la religione è quando porti Dio alla tua misura» (D. Turoldo)

Sarà Gesù ad avvicinarsi alla nostra umanità: Voi siete miei amici. Non più servi, ma amici. Parola dolce, musica per il cuore dell'uomo. L'amicizia, qualcosa che non si impone, non si finge, non si mendica. Che dice gioia e uguaglianza: due amici sono alla pari, non c'è un superiore e un inferiore, chi ordina e chi esegue. È l'incontro di due libertà. Vi chiamo amici: un Dio che da signore e re si fa amico, che si mette alla pari dell'amato!

Ma perché dovrei scegliere di rimanere dentro questa logica? La risposta è semplice, per essere nella gioia: questo vi dico perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. L'amore è da prendere sul serio, ne va del nostro benessere, della nostra gioia. Dio, un Dio felice (?la mia gioia?), spende la sua pedagogia per tirar su figli felici, che amino la vita con libero e forte cuore e ne provino piacere, e ne gustino la grande bellezza.

La gioia è un sintomo: ti assicura che stai camminando bene, che sei sulla via giusta, che la tua strada punta diritta verso il cuore caldo della vita. Gesù, povero di tutto, non è stato però povero di amici, anzi ha celebrato così gioiosamente la liturgia dell'amicizia, da sentire vibrare in essa il nome stesso di Dio.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Può l'amore essere comandato?

Gesù ci rivela il cammino dell’amore, che discende dal cuore del Padre come una cascata d’acqua viva, investe e irrora il Figlio, che estende il dono agli uomini. La ragione per la quale questo amore purissimo giunge fino a noi è un mistero di gratuità iscritto nella natura stessa dell’amore, che vuole comunicarsi per dare gioia all’amato e renderlo capace di produrre un frutto che rimanga. «Rimanete nel mio amore»: è questo il compito dei destinatari del dono; «osserverete i miei comandamenti» è poi l’unico modo per realizzare tale compito.

Quando leggiamo simili parole siamo tentati di pensare: ecco l’inganno, l’amore poteva essere così semplice e a portata di mano, e invece si parla di comandi, regole, imposizioni. Ma può l’amore seguire delle norme? Non abbiamo sempre detto che deve essere spontaneo, che deve essere lasciato libero altrimenti non è amore? Tuttavia quella di Gesù è una grande verità. Me ne accorgo semplicemente orientando lo sguardo sulla mia vita, sulle relazioni che la costituiscono. Ci sono delle regole non scritte che tutti conosciamo. Quando qualcuno le disattende ce ne accorgiamo subito e reagiamo con frasi del tipo “non mi ami, non ti importa nulla di me, altrimenti non ti comporteresti così”. E infatti chi può dire di essere un buon amico se non passa del tempo ad ascoltare l’altro, se non accetta l’invito a mangiare qualcosa insieme, se non è presente nei momenti belli come in quelli faticosi, se, in definitiva, non condivide la sua vita con quella dell’altro? Chi può dire di amare una persona se non ricorda gli anniversari, se non ha il desiderio di vederla, di conoscerla, se non la chiama solo per sentire la sua voce, se non la mette al centro dei suoi pensieri e delle sue attenzioni, se non le dona la parte migliore di sé e impara ad amare la parte peggiore di lei? Perché l’amore non è qualcosa di astratto, ma è profondamente concreto e si costruisce giorno dopo giorno. Non è un’illusione ma riguarda la vita reale dove gli sguardi, le parole, i piccoli gesti non sono delle opzioni ma dei veri e propri comandamenti sottintesi. Sono quelle linee guida che muovono le relazioni e le rendono sane, vere, belle, tanto che quando vengono a mancare la relazione ne risente, si diventa sempre più estranei e si finisce con l’allontanarsi per sempre. È vero che l’amore che Gesù ci chiede conosce delle vette altissime che, anche per chi non soffre di vertigini, non sono facili da raggiungere, come ad esempio il perdono del nemico. Tuttavia, oltre alla via delle ‘piccole regole non scritte’, per poter rimanere nell’amore è necessario contemplare la relazione di Gesù col Padre: «come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore». L’ha fatto Lui e, innestati in Lui come tralci alla vite, potremo esprimere una fedeltà all’amore che, anche se non è paragonabile a quella di Cristo, ne è l’imitazione. Il frutto di tale permanenza nell’amore e nei suoi comandamenti è la gioia. Il vangelo di Giovanni presenta questo tema in 3,29, quando il Battista si definisce l’amico che «esulta di gioia alla voce dello sposo»; in 14,28, in cui il motivo della gioia è il ritorno di Gesù al Padre; in 17,13, ove le parole di Cristo hanno come fine la nostra gioia. In una visione d’insieme, sembra proprio che il Padre, attraverso Gesù, non abbia altro desiderio che donare ai suoi figli una gioia perfettamente compiuta. Amarsi gli uni gli altri fino a dare la vita è contemporaneamente la via della gioia autentica e il contenuto del comando di amare. «Non ci chiede innanzitutto che amiamo lui, che ricambiamo il suo amore, amandolo a nostra volta. No, la risposta al suo amore è l’amare gli altri come lui ci ha amati e li ha amati» (Enzo Bianchi). L’amore presenta così una ininterrotta circolarità che dall’origine in Dio ci conduce al fine, cioè il volto dei fratelli, in cui è impressa l’immagine originale di Dio. Solo chi è amico di Cristo può comprendere ed entrare in questa logica, che ti permette di non essere più considerato servo, ma amico di Gesù. Se nella Bibbia il termine servo non è dispregiativo ma richiama un rapporto di collaborazione col disegno di Dio, «la discriminante tra l’essere servi e l’essere amici sta nella consegna di una rivelazione, nella confidenza di chi consegna una parola e mette al corrente, di chi rende l’altro partecipe del proprio segreto» (Luciano Manicardi). Il dare, prima ancora di ricevere o di riprendersi l’amore dato, è dunque la caratteristica del discepolo che si lascia riempire dall’amore di Cristo.

Omelia di don Antonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

Liturgia e Liturgia della Parola della VI Domenica di Pasqua (Anno B) 6 maggio 2018

tratto da www.lachiesa.it