29 aprile 2018 - V Domenica di Pasqua: Cristo vite, io tralcio: io e lui la stessa cosa! Stessa pianta, stessa vita, una sola linfa.

News del 28/04/2018 Torna all'elenco delle news

Io sono la vite, quella vera. Cristo vite, io tralcio: io e lui la stessa cosa! Stessa pianta, stessa vita, unica radice, una sola linfa. Lui in me e io in lui, come figlio nella madre.

E il mio padre è il vignaiolo: Dio raccontato con le parole semplici della vita e del lavoro. Un Dio che mi lavora, si dà da fare attorno a me, non impugna lo scettro ma le cesoie, non siede sul trono ma sul muretto della mia vigna. Per farmi portare sempre più frutto.

E poi una novità assoluta: mentre nei profeti e nei salmi del Primo Testamento, Dio era descritto come il padrone della vigna, contadino operoso, vendemmiatore attento, tutt'altra cosa rispetto alle viti, ora Gesù afferma qualcosa di rivoluzionario: Io sono la vite, voi siete i tralci. Facciamo parte della stessa pianta, come le scintille nel fuoco, come una goccia nell'acqua, come il respiro nell'aria.

Con l'Incarnazione di Gesù, Dio che si innesta nell'umanità e in me, è accaduta una cosa straordinaria: il vignaiolo si è fatto vite, il seminatore seme, il vasaio si è fatto argilla, il Creatore creatura.

La vite-Gesù spinge la linfa in tutti i miei tralci e fa circolare forza divina per ogni mia fibra. Succhio da lui vita dolcissima e forte.

Dio che mi sei intimo, che mi scorri dentro, tu mi vuoi sempre più vivo e più fecondo di gesti d'amore... Quale tralcio desidererebbe staccarsi dalla pianta? Perché mai vorrebbe desiderare la morte?

Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto. Potare la vite non significa amputare, inviare mali o sofferenze, bensì dare forza, qualsiasi contadino lo sa: la potatura è un dono per la pianta. Questo vuole per me il Dio vignaiolo: «Portare frutto è simbolo del possedere la vita divina» (Brown). Dio opera per l'incremento, per l'intensificazione di tutto ciò che di più bello e promettente abita in noi.

Tra il ceppo e i tralci della vite, la comunione è data dalla linfa' che sale e si diffonde fino all'ultima gemma. Noi portiamo un tesoro nei nostri vasi d'argilla, un tesoro divino: c'è un amore che sale lungo i ceppi di tutte le vigne, di tutte le esistenze, un amore che sale in me e irrora ogni fibra. E l'ho percepito tante volte nelle stagioni del mio inverno, nei giorni del mio scontento; l'ho visto aprire esistenze che sembravano finite, far ripartire famiglie che sembravano distrutte. E perfino le mie spine ha fatto rifiorire.

Se noi sapessimo quale energia c'è nella creatura umana! Abbiamo dentro una vita che viene da prima di noi e va oltre noi. Viene da Dio, radice del vivere, che ripete a ogni piccolo tralcio: Ho bisogno di te per grappoli profumati e dolci; di te per una vendemmia di sole e di miele.

Omelia di padre Ermes Ronchi

Noi tralci, Lui la vite: siamo della stessa pianta di Cristo

 

Potare i tralci secchi perché tutta la vite si rigeneri

Il Vangelo di questa quinta domenica di Pasqua, tratto dall'Evangelista Giovanni, ci porta in campagna ad osservare la vigna e la vite, che come ben sappiamo produce uva e dall'uva viene poi prodotto il vino.

Gesù non ci invita ad essere agricoltori e potatori di viti vere e reali, ma, attraverso questa immagine tratta dalla vita agricola, ci invita a capire e a valutare il nostro grado di appartenenza alla chiesa, da Lui fondata e inviata nel mondo a portare frutti di gioia, pace e fraternità.

Come in tutte le vigne e le viti ci possono essere tralci che non vanno, non producono più, anzi assorbono linfa e la vite rischia di essiccarsi e morire.

Cosa si fa allora in agricoltura? Si pota, perché i rami secchi vadano buttati via e bruciati, mentre quelli che potenzialmente possono continuare a produrre uva, si potano e così danno più uva, più saporita e giovane.

Ebbene, l'immagine assunta da Gesù per illustrare il cammino che la sua chiesa deve fare è utile per capire, come dobbiamo vivere e cosa dobbiamo testimoniare in quanto discepoli di Cristo: bisogna rimanere in Cristo, radicati profondamente in Lui, perché chi rimane in Gesù e Lui noi porta molto frutto, perché senza di Cristo non possiamo far nulla.

Non illudiamoci che possiamo fare tutto o poco senza Cristo. Senza di Lui non possiamo neppure alzarci al mattino e aprire gli occhi al nuovo giorno che inizia. Tutto è possibile in Lui e con Lui, in quanto nulla è impossibile a Dio. Per cui, chi non rimane in Cristo e si allontana da Lui con il peccato o rinnegando la propria fede, viene gettato via come il tralcio, che poi secca e di conseguenza lo raccolgono per gettarlo nel fuoco e bruciarlo.

Sono immagini tratte dalla vita contadina e che, se trasferite su un piano spirituale, come è facile capire dal discorso fatto da Gesù, si riferiscono al nostro agire, in vista dell'eternità.

La vite è Cristo, la linfa è la sua grazia, l'essere ancorati a Lui, significa crescere in santità di vita. Allontanarsi da Lui, significa vivere nel peccato, senza grazia che ci santifica, con le conseguenze ben note di rischiare la condanna eterna ed essere gettati nel fuoco dell'inferno, rappresentato dal tralcio secco, tagliato e bruciato. Forte appello a cambiare stile di vita ed a improntare tutto il nostro essere cristiani sulla grazia che ci fortifica, ci santifica e ci prepara per il Paradiso.

Come realizzare questo progetto di santità, mediante la grazia, la vera linfa vitale della nostra anima?

Ebbene ci viene in aiuto san Giovanni con la sua prima lettera inserita nei testi biblici di oggi, come seconda lettura della parola di Dio: ?non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità?; poi nella comunione con Cristo, il nostro cuore si rassicura, qualunque cosa esso ci posa rimproverare, se abbiamo una coscienza retta e sensibile.

Dio, infatti è infinitamente più grande del nostro povero e limitato cuore, in quanto a Dio è noto tutto.

Davanti ad una presa di coscienza delle nostre debolezze o delle nostre ricchezze, bisogna pure capire una cosa importante: ?se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo, la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quello che gli è gradito?.

Da dove partire allora per essere graditi a Dio? ?Credere nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e amarci gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato?.

L'amore ci radica profondamente in Dio. Infatti, chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato?.

L'altro mirabile esempio di come l'amore possa trasformare il cuore di un peccatore in un santo, di un violento in un pacificatore, di un ateo in un credente, di un persecutore in apostolo del Signore, è Paolo di Tarso, di cui gli Atti degli Apostoli ci parlano, oggi, nel brano della prima lettura, in modo speciale del suo ingresso ufficiale nella Chiesa di Gerusalemme, nella quale il suo nome era noto e la sua persona molto temuta per l'odio che nutriva verso i cristiani. Fu Barnaba, compagno dei viaggi apostolici di Paolo, a presentare Paolo alla comunità e ad assicurarla sulla sua persona, in quanto lungo la via di Damasco aveva visto il Signore ?che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo?. Per difenderlo da queste minacce, Paolo su disposizione della Chiesa di Gerusalemme fu trasferito a Tarso.

Nonostante questi problemi di gestione e di organizzazione della Chiesa, essa ?era in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samarìa: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero?.

Una chiesa in espansione, che si apre al nuovo, alle nuove realtà locali, una chiesa che varca i confini di ogni tipo, una chiesa, come ci ricorda Papa Francesco, in uscita per incontrare e non per stare alla poltrona in attesa che arrivi qualcuno per essere accolto al suo interno, nella comodità massima e nella mondanità del modo di pensare e vivere di chi già ha consolidato il suo essere superficiale e improduttivo all'interno della stessa Chiesa.

Per cui, sia questa la nostra umile preghiera che eleviamo al Signore in questo giorno di festa: ?O Dio, che ci hai inseriti in Cristo come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito, perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore, diventiamo primizie di umanità nuova e portiamo frutti di santità e di pace?.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Accettare con amore la potatura per dare più frutto

«Non potete far nulla». Può accadere ad ognuno di noi di sperimentare un senso di impotenza che paralizza l’anima quando ad esempio non capiamo perché una persona improvvisamente non fa più parte della nostra vita, oppure quando un progetto che consideriamo vitale per il nostro futuro non si realizza. In questi casi è necessario avere ben chiaro su cosa si fonda l’esistenza, ciò che ci tiene in vita, perché poggiandoci unicamente sulla speranza che il corso degli eventi sia favorevole, rischiamo di soccombere dinanzi a circostanze esterne avverse che ci frantumano interiormente.

Ma a questa espressione di umana impotenza Gesù ne premette un’altra, «senza di me», con la quale ci fa intravedere la via d’uscita da ogni situazione di fallimento: è la comunione con Lui la strada per portare frutto nella vita. L’immagine usata per indicare tale intima relazione è quella della vite con i tralci. L’evangelista esordisce con una sostanziale novità riguardo l’impiego dell’allegoria, perché negli scritti profetici la vigna aveva sempre rappresentato Israele. Adesso è Cristo stesso la vite piantata dal Padre, è Gesù che realizza nella propria persona quei frutti abbondanti d’amore che Dio si attendeva da tutta l’umanità. Il tralcio è destinato a portare frutto ‘in Lui’, poiché nella vite e nei tralci scorre la medesima linfa, e fuori di Lui non c’è possibilità di vivere e generare vita. È importante chiedersi se crediamo fermamente a questa verità, perché spesso l’uomo si ostina a percorrere vie che non sono quelle del Signore, vuole sperimentare la propria autonomia, pensando di aver trovato la chiave della felicità indipendentemente dai comandamenti di Dio e dalle sue ispirazioni. Così facendo, si diventa un tralcio improduttivo, che in Israele veniva tagliato verso marzo o aprile, cioè «siamo rami morti; siamo non-figli, che si autoescludono dal Figlio e dal Padre, recisi dalla fonte della vita» (Silvano Fausti). Quello che produciamo senza Dio, anche se può apparire bello a vedersi, in realtà è solo morte e richiede l’eliminazione radicale. In agosto si mondavano i germogli più deboli per favorire i migliori. Ora, la potatura è un taglio che se sul momento mortifica e fa piangere la pianta, al momento opportuno la rende capace di generare un frutto più abbondante. Ogni taglio ci fa soffrire, lascia il segno, ma il credente, se vuole che da esso derivi un germoglio tutto nuovo, è chiamato ad accettarlo per amore, confidando nella promessa di fecondità di Dio. «Se non siamo attaccati a qualcosa di vivo, allora quei tagli conducono alla morte, ma se siamo attaccati a qualcosa di vivo, sono per un miglioramento» (Luigi Maria Epicoco). Come vivere l’attesa di dare frutto quando ancora stai rimpiangendo lo stato precedente in cui eri qualcosa, mentre ora non sei niente? Osservando la Parola che realizza la potatura, purifica, libera da ogni inganno e indica alla coscienza la verità.

L’appello di Gesù si fa poi più diretto: «rimanete in me e io in voi». È un invito appassionato ma rispettoso della libertà umana, la raccomandazione del padre che intende coinvolgere nelle sue iniziative il figlio, senza imporsi. D’altra parte, se noi non vogliamo dimorare in Gesù, non c’è alcuna motivazione spirituale che regga, perché la voce del mondo sa essere molto convincente e agisce compulsivamente sulla nostra immaginazione. Invece per rimanere con Cristo occorre pensare al frutto che vogliamo produrre, all’amore su cui intendiamo investire. Chi scommette sulle soddisfazioni trae un frutto immediato ma che si consuma presto e alla fine non ne rimane nulla; chi investe sull’amore che viene da Dio dovrà attendere che le intenzioni d’amore maturino in opere, accontentarsi a volte di tratteggiare soltanto dei percorsi che altri proseguiranno, ma avrà la gioia di aver scelto sempre e solo l’amore di Dio. Gesù insiste: per avere la certezza di rimanere in Lui non dobbiamo staccarci dalla sua Parola, come un infante non vorrebbe mai staccarsi dal seno materno. Questo darà la felice sensazione di possedere tutto ciò che desideriamo, perché i nostri desideri si saranno conformati ai suoi: «chiedete quello che volete e vi sarà fatto». Non chiederemo niente di diverso o di più di quanto la Provvidenza ci assegna, con la gioia rendere gloria al Padre per il fatto che produciamo i frutti che Egli si aspetta da noi. È questo il cammino del discepolato, un itinerario fecondo, ma che richiede il tempo della crescita e della potatura: pensare di saltare uno di questi passaggi significa rimanere sterili.

Omelia di don Antonino Sgrò tratta da www.diocesireggiobova.it

 

Liturgia e Liturgia della Parola della V Domenica di Pasqua (Anno B) 29 aprile 2018

tratto da www.lachiesa.it