7 gennaio 2018 - Festa del Battesimo di Gesù:
News del 07/01/2018 Torna all'elenco delle news
Giovanni annuncia la venuta di uno «più forte», che «battezzerà in Spirito Santo», e subito dopo accade che «Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni». Da un lato la parola del profeta si dimostra ancora una volta veritiera, perché l’Atteso giunge là dove è annunciata la sua presenza; dall’altro la promessa di Dio si estende oltre il compimento della profezia, perché Gesù non solo battezza, come attesterà il vangelo di Giovanni, ma si lascia battezzare.
Un Dio che non si limita a fare ciò che dice ma, nel momento in cui lo fa, ama sorprenderti perché ha sempre qualcosa in più da offrire. Sappiamo come i Padri della Chiesa abbiano letto il gesto dell’immersione nel Giordano come un atto di solidarietà di Colui che era senza peccato con tutti i peccatori, perché Gesù si mette in fila come uno di loro, ultimo tra gli ultimi; a partire da questo primo “abbassamento”, il Figlio dell’Altissimo continuerà a chinarsi sull’uomo mediante una serie di azioni inedite che non competono a Colui che è dotato di una natura divina: dal lasciarsi tentare subito dopo dal diavolo, al lasciarsi accusare da scribi e farisei, fino al lasciarsi consumare dalla morte in croce, quanto di più distante dalla realtà di Dio esista!
Mentre Gesù esce dall’acqua, dopo che a livello simbolico si è anticipata l’immersione di Cristo nella morte dell’uomo, in obbedienza alla volontà del Padre, si assiste alla risposta del cielo a tale obbedienza del Figlio, ossia la visione e la voce che consacrano Gesù Servo del Padre e dei fratelli. L’immagine dei cieli che si squarciano richiama l’invocazione di Isaia 63,19: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!», come pure l’inizio delle visioni di Ezechiele. Anche il velo del tempio si squarcerà alla morte di Gesù, perché col dono della sua vita la separazione tra cielo e terra, sacro e profano è superata. Il Padre da questo cielo ormai aperto manda lo Spirito, che nel racconto assume la forma della colomba. Oltre al noto simbolismo dello Spirito che aleggiava sulle acque alla creazione e della pace tra il cosmo e la terra nel diluvio universale, indicanti entrambi la novità di vita che l’opera di Dio reca in sé, la colomba è una metafora che designa l’amata nel Cantico dei Cantici.
L’Amore/Spirito che scende su Gesù ha voce, non è afono. La voce dell’Amore enuncia anzitutto un’identità: «Tu sei il Figlio mio, l’amato». Gesù è in una relazione unica col Padre, unica nella generazione e nell’appartenenza. La promessa fatta a Davide, «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio», si compie nell’uomo Gesù, affinché in Lui ogni figlio di questo mondo impari a considerarsi figlio del Padre, e non figlio di nessuno. Il possessivo “mio” sigilla questo legame insolubile. Tale senso di appartenenza risulta quanto mai urgente da riscoprire nel tempo odierno, in cui i giovani soffrono terribilmente una crisi di identità, forse anche perché vivono una paternità debole o ferita. La certezza di sapersi generati ogni giorno dall’amore dal Padre porta con sé non solo la gioia di percepirsi, come Gesù, servi di questo Amore dalla estensione universale, sul modello del Servo di Yhwh: «Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni» (Isaia 42,1), ma anche la bellezza di poter diventare padri per tanti figli dispersi.
Ancora, la voce dell’Amore aggiunge un’altra sfumatura al rapporto Padre-Figlio: «in te ho posto il mio compiacimento». È il Padre che mentre genera eternamente il Figlio non si stanca di guardarlo e di amare l’opera delle sue mani con infinita tenerezza. Oggi probabilmente tanti si allontanano dalla fede perché non vivono un rapporto affettivo con Dio, considerandolo ancora come giudice distaccato o addirittura impersonale. È da questa intimità cordiale che bisogna ripartire per superare il formalismo di una fede senza anima, che al primo ostacolo crolla.
Sembra che solo Gesù sia testimone della visione e della voce, quasi a sottolineare come la Santa Trinità sia pienamente concentrata e coinvolta nella missione verso l’uomo. Quando il battesimo di Gesù nella morte per amore diventa anche il nostro battesimo? Per noi i cieli si schiudono quando decidiamo di aprire il cuore all’Amore. Il Battesimo è apertura a Dio, è esperienza di ascolto di una voce: «c’è in mezzo a noi un figlio che ascolta: non ha altra testimonianza da rendere, non ha altra missione da compiere che non sia l’ascolto della voce» (Pino Stancari). Se ci mettiamo in ascolto con Gesù della voce del Padre, scopriremo la nostra vera identità di figli e potremo regalare agli uomini questa suprema verità del loro essere, quale apporto originale e insostituibile del cristiano al mondo di oggi.
Omelia di don Antonino Sgrò
Liturgia e Liturgia della Parola della Festa del Battsimo di Gesù (Anno B)7 gennaio 2018