26 novembre 2017 - XXXIV Domenica del T. O. Solennità di Cristo Re dell'universo: Cristo Re: un invito a guardare avanti
News del 25/11/2017 Torna all'elenco delle news
Festa di Cristo Re: è l'ultima delle ultime domeniche dell'anno liturgico, che suonano come altrettanti inviti a guardare agli ultimi tempi della nostra vita terrena.
La prima lettura (Ezechiele 34,11-17) si apre e si chiude con queste frasi: "Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna (...) Così dice il Signore Dio: Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri". Nell'Antico Testamento ricorre spesso l'immagine di Dio come pastore del suo gregge, il popolo d'Israele: un pastore sollecito, che guida ai buoni pascoli, ma anche rigoroso, che vaglia chi dalla sua guida si allontana.
Venuto Gesù, egli ha rivelato di essere Dio, anche riferendo quel simbolo a se stesso. Più volte infatti ha detto: "Io sono il buon Pastore", tanto buono da dare la vita per il suo gregge. E, come il divino Pastore delineato dall'antico profeta, neppure Gesù resta indifferente rispetto a chi si allontana da lui. Anch'egli vaglia e giudica; non obbliga nessuno a seguirlo: prende atto che c'è chi lo segue, e chi si rifiuta di farlo, andandosene dove gli pare, pur se avvisato che lontano da lui troverà solo deserto.
Il giudizio avviene, si sa, singolarmente, al passaggio di ciascuno da questa all'altra vita. Il vangelo di oggi (Matteo 25,31-46) lo riassume, per così dire, in un unico momento collettivo: "Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo". La scena è grandiosa: il Figlio dell'uomo (così lo stesso Gesù designava se stesso) è il re, assiso sul trono glorioso, e ha davanti a sé l'incalcolabile numero degli uomini transitati per questo mondo, vagliati ad uno ad uno per riconoscere quali meritino il passaporto per il regno preparato per loro.
Chi lo meriti, è detto subito dopo: "Venite... perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi. Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me". Contrapposti, gli altri, quelli alla sua sinistra, ai quali dirà: "Via, lontano da me... perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere" eccetera: "Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l'avete fatto a me".
Queste parole trovano conferma in quelle rivolte anni dopo a un fanatico sulla via di Damasco: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?" Saulo, poi divenuto l'apostolo Paolo, andava a caccia di cristiani da incarcerare; non cercava Gesù, ma proprio Gesù gli annunciò di considerare fatto a sé quello che si fa ai suoi amici. In negativo, ma anche in positivo, come manifestano le parole del vangelo, che elencano esempi di quanto si può fare per i "fratelli più piccoli", vale a dire per chi è in necessità. Quelli elencati sono soltanto esempi: il bene possibile presenta una casistica infinita, determinata di volta in volta dalle necessità di chi si incontra e dalle possibilità di alleviarle. In sintesi, quello che conta - e su cui saremo giudicati - è l'amore, sull'esempio del divino Maestro che per amore è giunto a dare la vita.
La festa di oggi invita a guardare al futuro, per contemplare la scena grandiosa del Re in tutta la sua gloria, con l'intera umanità davanti a lui, convocata a manifestare chi avrà dimostrato di aver voluto essergli amico, amando quelli che egli ama. Guardare al futuro, per regolarsi adesso in modo da trovarsi, quando sarà il momento, dalla parte giusta.
Omelia di mons. Roberto Brunelli
Cosa resterà di noi alla fine? L'amore dato e ricevuto
Il Vangelo dipinge una scena potente, drammatica che noi siamo soliti chiamare il giudizio universale. Ma che sarebbe più esatto definire invece ?la rivelazione della verità ultima, sull'uomo e sulla vita?. Che cosa resta della nostra persona quando non rimane più niente? Resta l'amore, dato e ricevuto.
Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere: e tu mi hai aiutato. Sei passi di un percorso, dove la sostanza della vita ha nome amore, forma dell'uomo, forma di Dio, forma del vivere. Sei passi per incamminarci verso il Regno, la terra come Dio la sogna. E per intuire tratti nuovi del volto di Dio, così belli da incantarmi ogni volta di nuovo.
Prima di tutto Gesù stabilisce un legame così stretto tra sé e gli uomini da arrivare fino a identificarsi con loro: l'avete fatto a me. Il povero è come Dio! Corpo di Dio, carne di Dio sono i piccoli. Quando tocchi un povero è Lui che tocchi.
Poi emerge l'argomento attorno al quale si tesse l'ultima rivelazione: il bene, fatto o non fatto. Nella memoria di Dio non c'è spazio per i nostri peccati, ma solo per i gesti di bontà e per le lacrime. Perché il male non è rivelatore, mai, né di Dio né dell'uomo. È solo il bene che dice la verità di una persona.
Per Dio il buon grano è più importante e più vero della zizzania, la luce vale più del buio, il bene pesa più del male.
Dio non spreca né la nostra storia né tantomeno la sua eternità facendo il guardiano dei peccati o delle ombre. Al contrario, per lui non va perduto uno solo dei più piccoli gesti buoni, non va perduta nessuna generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza, ma tutto questo circola nelle vene del mondo come una energia di vita, adesso e per l'eternità.
Poi dirà agli altri: Via, lontano da me... tutto quello che non avete fatto a uno di questi piccoli, non l'avete fatto a me.
Gli allontanati da Dio che male hanno commesso? Non quello di aggiungere male a male, il loro peccato è il più grave, è l'omissione: non hanno fatto il bene, non hanno dato nulla alla vita.
Non basta giustificarsi dicendo: io non ho mai fatto del male a nessuno. Perché si fa del male anche con il silenzio, si uccide anche con lo stare alla finestra. Non impegnarsi per il bene comune, restando a guardare, è già farsi complici del male comune, della corruzione, delle mafie, è la ?globalizzazione dell'indifferenza? (papa Francesco).
Ciò che accade nell'ultimo giorno mostra che la vera alternativa non è tra chi frequenta le chiese e chi non ci va, ma tra chi si ferma accanto all'uomo bastonato e a terra, e chi invece tira dritto; tra chi spezza il pane e chi si gira dall'altra parte, e passa oltre. Ma oltre l'uomo non c'è nulla, tantomeno il Regno di Dio.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Il bicchiere d'acqua che trasforma la storia
Paolo ci presenta un'immagine del Signore che sembra remota, lontana: Cristo regna finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. Quando tutto sarà sottomesso, anche egli, il Figlio, sarà sottomesso a colui che gli ha sottomesso tutti, perché Dio sia tutto in tutti. Il Vangelo poi ci mette di fronte ad una drammatica e angosciosa scena di giudizio, a un Gesù adirato che proclama: Via maledetti, lontano da me, nel fuoco eterno, al supplizio eterno. Non è facile ispirarsi a queste immagini per capire cosa voglia dire attribuire a Cristo il titolo di ?re', come ci chiede di fare la celebrazione odierna.
Cominciamo allora con il ricordarci che ogni volta che parliamo di re e di regno, indichiamo l'azione decisiva di Dio nella storia, quello che solo Dio può fare. Confessiamo questa verità nel Padre Nostro, quando ogni giorno chiediamo: venga il tuo regno. Non il mio regno, ma il tuo regno. Se la venuta del regno è oggetto di preghiera, vuol dire che è qualcosa che non compio io, ma che realizza Dio. Io lo posso solo attendere e con la preghiera affrettarne la venuta.
Ogni volta che si parla di regno, ci riferiamo poi alla sua azione nella storia, non solo quella di tutta l'umanità, ma anche la mia personale. Ora, la storia è dominata da un groviglio di passioni, di istinti ciechi, di potere e di dominio. Anche quando le persone sono animate dalle migliori intenzioni, possono poco o niente contro le strutture di peccato che reggono le sorti del mondo. I progressi sociali ed economici di alcuni gruppi o nazioni hanno sempre immensi retroscena di ingiustizia. Il prezzo del benessere dei paesi occidentali è la condizione disumana di lavoro di milioni di persone dall'altra parte del globo. I progressi scientifici risvegliano il nostro istinto prometeico, ci danno l'illusione di poter essere noi stessi creatori di valori e artefici del nostro destino.
La buona notizia di oggi, così difficile da accettare per l'orgoglio umano, è che il compimento della storia viene dal suo esterno, non è il risultato dell'azione umana, ma di quella del Padre nel Cristo suo figlio, per mezzo dello Spirito Santo. Solo questa azione di Dio riscatta la storia dalla sua dispersione e le da unità. Solo il pastore raduna il suo gregge - come dice la prima lettura- e lo conduce al riposo: Su pascoli erbosi, ad acque tranquille mi conduce .
Se ci chiediamo in che modo l'azione di Dio realizzi questi obiettivi, in che modo cambi la storia, siamo sorpresi però di constatare il contrasto tra la seconda lettura e il vangelo. Nella seconda lettura abbiamo l'immagine cosmica di Cristo che regna finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi e poi sottomette tutto al Padre. Nel vangelo invece siamo noi che diamo da mangiare a chi ha fame, da bere a chi ha sete, che accogliamo lo straniero, vestiamo chi è nudo, visitiamo chi è malato e chi è in prigione .
Questo messaggio potrebbe scoraggiarci. Di fronte a tutte le sfide della storia e a tutte le ingiustizie del mondo; di fronte a tutti i problemi e purtroppo a volte anche agli scandali delle istituzioni di cui facciamo parte, compresa l'istituzione ecclesiastica; di fronte all'immenso bisogno di riforma nella società, nella chiesa, nelle nostre istituzioni, nelle nostre comunità, di fronte a tutto questo non ci è chiesto di cambiare la storia, non ci sono proposti ambiziosi progetti di riforma, non ci si chiede di costruire il futuro, non ci si chiede di salvare il mondo. La sola cosa che ci è richiesta è quella di dare ora un bicchiere d'acqua al mio vicino, a chi mi sta affianco, di vivere umilmente la missione che mi è affidata come una forma di dono di me stesso, per amore di Cristo, con tutta la generosità possibile.
Il mondo ci rimprovererà forse di evadere in questo modo la nostra responsabilità, quando in realtà questa non è una fuga dalla storia, non è sintomo di un pessimismo, di disfattismo o di rassegnazione, ma è un modo di confessare che il regno appartiene a Dio, alla sua azione: A lui solo la gloria. A lui la potenza. A lui la signoria sulla storia. Noi possiamo lasciar venire questo regno, non fargli ostacolo, e affrettarne la venuta servendo il prossimo, donandoci per amore di Cristo e pregandolo Maranatha - vieni Signore Gesù.
Omelia di don Luigi Gioia
Liturgia e Liturgia della Parola della XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 26 novembre 2017
tratto da www.lachiesa.it