27 agosto 2017 - XXI Domenica del T.O.: Gesù ci interroga nel profondo «Chi sono io per te?»

News del 26/08/2017 Torna all'elenco delle news

Oggi il Vangelo propone due delle centinaia di domande che intessono il testo biblico: Cosa dice la gente? E voi che cosa dite? Gesù, riferiscono gli evangelisti, «non parlava alla gente se non con parabole» (Mt 13,34) e con domande. Gesù ha scelto queste due forme particolari di linguaggio perché esse compongono un metodo di comunicazione generativo e coinvolgente, che non lascia spettatori passivi. Lui era un maestro dell'esistenza, e voleva i suoi pensatori e poeti della vita: «Le risposte ci appagano e ci fanno stare fermi, le domande invece, ci obbligano a guardare avanti e ci fanno camminare» (Pier Luigi Ricci).

Gesù interroga i suoi, quasi per un sondaggio d'opinione: La gente, chi dice che io sia?. La risposta della gente è univoca, bella e sbagliata insieme: Dicono che sei un profeta! Una creatura di fuoco e di luce, come Elia o il Battista; sei bocca di Dio e bocca dei poveri. Ma Gesù non è un uomo del passato, fosse pure il più grande di tutti, che ritorna.

A questo punto la domanda, arriva esplicita, diretta: Ma voi, chi dite che io sia? Prima di tutto c'è un ma, una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Come se dicesse: non si crede per sentito dire. Ma voi, voi con le barche abbandonate, voi che siete con me da anni, voi amici che ho scelto a uno a uno, che cosa sono io per voi?

In questa domanda è il cuore pulsante della fede: chi sono io per te? Gesù non cerca formule o parole, cerca relazioni (io per te). Non vuole definizioni ma coinvolgimenti: che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato? La sua domanda assomiglia a quelle degli innamorati: quanto conto per te? Che importanza ho nella tua vita? Gesù non ha bisogno della risposta di Pietro per avere informazioni o conferme, per sapere se è più bravo degli altri maestri, ma per sapere se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio. Cristo non è le mie parole, ma ciò che di Lui arde in me.

La risposta di Pietro è a due livelli: Tu sei il Messia, Dio che agisce nella storia; e poi, bellissimo: sei il figlio del Dio vivente.

Figlio nella Bibbia è un termine tecnico: è colui che fa ciò che il padre fa, che gli assomiglia in tutto, che ne prolunga la vita. Tu sei Figlio del Dio vivente, equivale a: Tu sei il Vivente. Sei grembo gravido di vita, fontana da cui la vita sgorga potente, inesauribile e illimitata, sorgente della vita. Se cerchiamo oltre le parole, se scendiamo al loro momento sorgivo, possiamo ancora ascoltare la dichiarazione d'amore di Pietro: tu sei la mia vita! Trovando te ho trovato la vita.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Un cuor solo e un'anima sola

 Coltivare la nostra fede individuale nel Signore a prescindere dagli ausili normativi della Chiesa, pregare rivolgendosi a lui direttamente e meditando la sua Parola con premura individuale è ciò che si raccomanda spesso ed è anche all'origine della nostra edificazione spirituale. Vivere la propria spiritualità nella sfera individuale è molto importante, soprattutto perché aiuta ad esercitare creatività e disinvoltura nei nostri rapporti con Dio. E' importante e molto conveniente, tuttavia non sufficiente ed esaustivo. Occorre infatti vivere la nostra fede anche in ambito comunitario, condividendo le nostre risorse spirituali con i fratelli e sentendoci vincolati da un senso di comunione con loro. Occorre insomma integrarsi anche in un contesto comunitario nel quale vivere la condivisione e l'unità, nel quale sentirsi coesi in ?un solo Signore, una sola fede, un solo Battesimo?, per condividere un solo Dio che è al di sopra di tutti ed è presente in tutti.?(Egf 4, 4) e del resto il Signore ha manifestato non soltanto di rivelarsi al singolo uomo, ma anche di scegliersi un popolo fra tutti, una comunità nella quale espletare il suo Regno. Sebbene sia importante dunque che ciascuno viva la sua personale esperienza con Dio, è indispensabile che ci sentiamo membra di un unico Corpo, formando ?un cuor solo e un'anima sola? e che siamo perfetti nell'unità e nella concordia, affinché la nostra fede non diventi puro soggettivismo preferenziale, mero esercizio di personali convinzioni, ma che ci uniformiamo a un solo Signore e a una sola condotta di vita. Dove non c'è unità d'intenti c'è dispersione e confusione e personalizzare un'unica fede comporta disorientamento anche per coloro ai quali dobbiamo testimoniarla. Questo si evince del resto dal proliferare di Comunità e movimenti religiosi alternativi di natura multiforme che ha interessato il mondo protestante e non cattolico: la convinzione del ?libero esame ?della Scrittura, la mancata uniformità in fatto di dottrina e di fede, l'assenza di una centralità normativa ha determinato il moltiplicarsi di scismi e separazioni intestine fra le varie chiese protestanti.

La chiesa cattolica professa invece di essere Una, con il duplice significato di Unica (Unica chiesa voluta da Cristo) e di Compatta e uniforme nella fede, professante cioè una sola dottrina, perché non si verifichino ambivalenze, confusioni e dispersioni. In tal senso la Chiesa è anche comunione. E' stato lo stesso Cristo a voler garantire l'unità della Chiesa, istituendo un ministro visibile che fungesse da suo Vicario nella guida universale del popolo di Dio. Prima di ascendere al Cielo, Gesù Cristo aveva infatti promesso ai sui discepoli che sarebbe rimasto con loro ?fino alla fine del mondo? e che avrebbe provveduto lui stesso, nella forma invisibile, a promuovere la comunione e la missione di annuncio nella Chiesa attraverso il ministero degli apostoli. Aveva però affidato a Pietro particolarmente il compito di ?confermare i fratelli?(Lc 22, 32) nell'unità della fede, di pascere il gregge di Dio e di mantenerlo sempre unito nella verità. In questo brano evangelico odierno si nota come espressamente Gesù conferisce a Pietro il ?potere delle chiavi?, cioè l'esercizio della custodia dell'unica Chiesa universale. A Pietro sarà affidato il non facile compito di guida visibile di tutto il gregge di Dio e nel suo ministero vi sarà sempre la presenza invisibile di Cristo. Perché noi tutti perseverassimo in un'unica fede e in un solo Battesimo era importante che Cristo ci affidasse tutti ad un Pastore visibile, perché proprio attraverso espedienti umani, immediati e di umana comprensione è possibile radicarci nella verità. Ed era altrettanto importante che ?fino alla fine del mondo? questo Pastore visibile avesse dei successori, di fatto presenti nella persona del papa.

Senza un riferimento normativo propriamente detto, senza una comune disciplina e un orientamento concreto intorno alle verità in cui credere, e in assenza di un ministro terreno che di volta in volta ce le riproponga adattandone l'attualità ai tempi odierni, si rischia di precipitare nel soggettivismo, nel relativismo etico e nell'individualismo, di personalizzare la fede con le conseguenze dannose di dispersione e di confusione babelica. E per questo che l'importanza di una centralità visibile quale quella del papa è riconosciuta anche in ambito non cattolico. Non perché si voglia dare importanza alla persona umana del pontefice e dei vescovi suoi collaboratori in quanto tali, ma perché è determinante che vi sia tangibile uniformità nella professione della Verità rivelata.

Certamente la prerogativa dell'unità e dell'uniformità è appannaggio dello Spirito Santo, la cui opera è sufficiente ed esaustiva; non vi è dubbio che, sempre in forza dello stesso Spirito, nostro Signore Gesù Cristo non farà mai mancare il suo sostegno il giusto orientamento e che la sua presenza invisibile è certa e sufficiente già in se stessa, ma la guida visibile di un soggetto preposto alla nostra cura spirituale, che si esprima in termini umani facendosi latore del messaggio divino di salvezza, è ugualmente necessaria perché ci radichiamo nella verità, soprattutto per la fragilità e le debolezze che ci caratterizzano come uomini, tendenzialmente propensi a vagare come pecore senza pastore. Se al presenziare di malattie e di disturbi volessimo disporre delle nostre sole competenze, certamente non otterremmo mai guarigione o cura appropriata, perché saremmo guidati da fale certezze puramente soggettive, da personali convinzioni non legate alla realtà. Così pure, interpretare la Scrittura con esagerato individualismo, al di là di ogni normativa esegetica e di qualsiasi forma di disciplina comporta che ci asserviamo inevitabilmente a personali convinzioni spesso deleterie. Lo stesso Pietro, Vicario di Cristo, suggerisce invece che ?nessuna scrittura profetica è soggetta a privata spiegazione?(2Pt). Ottenere il perdono dei peccati con il semplice ricorso alla ?confessione individuale? prescindendo dal Sacramento della Riconciliazione è fin troppo semplice e meschino e addirittura può costituire, in certi casi, serio pericolo: l'assenza di un giudice e di un maestro visibile, che ti aiuti a discernere adeguatamente fra ciò che è bene da ciò che è male, può condurti ad errori irrimediabili di presunzione, con la conseguenza di personali interpretazioni erronee. La convinzione di poter prescindere dalla guida ministeriale, l'assenza di norme oggettive e di disposizioni magisteriali che regolino ogni condotta ingenera non di rado false sicurezze, inducendoci a relativizzazioni perniciose.

Cristo ha voluto invece che noi fossimo ?perfetti nell'unità?, cioè nella concordia e nella comunione e che nulla ci disorientasse, tantomeno le false sicumere personali. Per questo motivo ci ha affidati al ministero di Pietro e dei suoi successori (i pontefici) a loro volta coadiuvati dai vescovi, successori degli apostoli e riconoscere nei nostri pastori la presenza operante del Cristo è il vero esercizio della nostra fede.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 27 agosto 2017

tratto da www.lachiesa.it