13 agosto 2017 - XIX Domenica del T.O.: la mano tesa di Dio quando crediamo di affondare
News del 12/08/2017 Torna all'elenco delle news
Gesù dapprima assente, poi come un fantasma nella notte, poi voce sul vento e infine mano forte che ti afferra. Un crescendo, dentro una liturgia di onde, di tempesta, di buio.
È commovente questo Gesù che passa di incontro in incontro: saluta i cinquemila appena sfamati, uno a uno, con le donne e i bambini; profumato di abbracci e di gioia, ora desidera l'abbraccio del Padre e sale sul monte a pregare. Poi, verso l'alba, sente il desiderio di tornare dai suoi. Di abbraccio in abbraccio: così si muoveva Gesù.
A questo punto il Vangelo racconta una storia di burrasca, di paure e di miracoli che falliscono. Pietro, con la sua tipica irruenza, chiede: se sei figlio di Dio, comandami di venire a te camminando sulle acque.
Venire a te, bellissima richiesta. Camminando sulle acque, richiesta infantile di un prodigio fine a se stesso, esibizione di forza che non ha di mira il bene di nessuno. E infatti il miracolo non va a buon fine.
Pietro scende dalla barca, comincia a camminare sulle acque, ma in quel preciso momento, proprio mentre vede, sente, tocca il miracolo, comincia a dubitare e ad affondare. Uomo di poca fede perché hai dubitato? Pietro è uomo di poca fede non perché dubita del miracolo, ma proprio in quanto lo cerca. I miracoli non servono alla fede. Infatti Dio non si impone mai, si propone. I miracoli invece si impongono e non convertono. Lo mostra Pietro stesso: fa passi di miracolo sull'acqua eppure proprio nel momento in cui sperimenta la vertigine del prodigio sotto i suoi piedi, in quel preciso momento la sua fede va in crisi: Signore affondo!
Quando Pietro guarda al Signore e alla sua parola: Vieni!, può camminare sul mare. Quando guarda a se stesso, alle difficoltà, alle onde, alle crisi, si blocca nel dubbio. Così accade sempre. Se noi guardiamo al Signore e alla sua Parola, se abbiamo occhi che puntano in alto, se mettiamo in primo piano progetti buoni, noi avanziamo. Mentre la paura dà ordini che mortificano la vita, i progetti danno ordini al futuro.
Se guardiamo alle difficoltà, se teniamo gli occhi bassi, fissi sulle macerie, se guardiamo ai nostri complessi, ai fallimenti di ieri, ai peccati che ricorrono, iniziamo la discesa nel buio.
Ringrazio Pietro per questo suo intrecciare fede e dubbio; per questo suo oscillare fra miracoli e abissi. Pietro, dentro il miracolo, dubita: Signore affondo; dentro il dubitare, crede: Signore, salvami!
Dubbio e fede. Indivisibili. A contendersi in vicenda perenne il cuore umano. Ora so che qualsiasi mio affondamento può essere redento da una invocazione gridata nella notte, gridata nella tempesta come Pietro, dalla croce come il ladro morente.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Affondare per lasciarsi afferrare
Questa volta Gesù va in disparte su un monte da solo per pregare (Mt 14,23), senza portarsi alcun discepolo. Domenica scorsa invece, aveva portato in disparte con sé Pietro, Giacomo e Giovanni su un altro monte, e sappiamo come è andata. Ma l'esperienza di Dio non è sempre una trasfigurazione. Fosse per noi, ci pianteremmo una o più tende come propose Pietro (Mt 17,4), in fondo perché vorremmo che il Signore si manifestasse sempre così. L'episodio del vangelo di oggi ci ricorda che la realtà è ben altra. La barca che fatica ad andare avanti per il vento contrario mentre Lui ?se ne sta lassù, da solo?: quale espressione fotografa meglio quello che tutti sperimentiamo nella vita? Tu ed io, noi, la chiesa, non ci sentiamo forse tante volte nel cammino di questa vita come quella barca in un mare in tempesta, in cui Dio sembra che ?se ne sta lassù, da solo?? Questo è il senso profondo del messaggio di Matteo evangelista. Il tempo della chiesa è come l'avventura di una traversata in un mare minaccioso che mette sempre a dura prova la sua fede. Ma è anche l'indicibile esperienza di un Dio che viene incontro ad essa camminando su questo mare. In mezzo ci sta il travaglio della stessa fede, in cui paura e dubbi sono ingredienti necessari (Mt 14,26).
Se vogliamo che la nostra fede maturi diventando consapevole e adulta, dobbiamo far bene i conti con questo vangelo. Su questo testo faremmo bene a riflettere tutti, ma proprio tutti, credenti e non credenti. Il non credente farebbe bene ogni tanto a dubitare del suo non credere, il credente del suo credere. Altrimenti entrambi diventeranno solo adoratori dei propri rigidi schemi. Dunque la nostra fede, per essere tale, non può evitare di passare dentro le proprie paure e dubbi. Quando trovo davanti a me fratelli o sorelle che mi raccontano le angosce e i dubbi del loro cammino mi rallegro e ringrazio sempre il Signore, perché in loro mi specchio e con essi condivido la debolezza della mia fede e la speranza che essa passi dentro tutte le prove. Ma quando incontro fratelli o sorelle inossidabili, granitici nel loro linguaggio, quelli che parlano sempre di fede in ogni istante della giornata, quelli che trovano sempre una parola religiosa per ogni evento o persona in cui si imbattono; quelli che sanno sempre cosa dire davanti ad un malato terminale, quelli che sanno tutto sulla chiesa e i suoi problemi, quelli sempre pronti alla polemica quando guardano l'agire di altri cristiani, quelli che vanno a scavare sempre nelle intenzioni altrui, quelli che....Beh! - mi dico sempre - ?beati loro che hanno tutte queste sicurezze...? Però, alla luce del vangelo, mi pare che rischino di trovarsi con un pugno di mosche tra le mani.
Gli apostoli sono colti dallo spavento: un uomo che cammina sulle acque del mare non è umano! (Mt 14,25). Sono pertanto convinti di vedere un fantasma e gridano dalla paura. E' proprio così. Chi segue la paura scambia la propria fantasia per realtà e la realtà per fantasia. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: coraggio, sono io, non abbiate paura (Mt 14,26-27). Che bello quel subito! Quando siamo nell'angoscia non sembra sia così, sembra che Gesù sia in ritardo. Papa Giovanni XXIII ripeteva spesso: ?sembra che il Signore arrivi sempre con un quarto d'ora di ritardo?. In realtà il Signore è il Dio che interviene subito con la parola nella nostra paura, prima di tutto perché non l'ha inventata Lui, ma soprattutto perché è Colui che lavora per farcela superare. Il più delle volte siamo noi in ritardo nel credergli! Osserviamo il comportamento di Pietro. Egli ha una richiesta audace da fare. Cerca di andare oltre la paura e il dubbio che lo accomuna agli altri: Signore se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque (Mt 14,28). Decliniamo questa richiesta. ?Signore, se sei proprio tu quello che vedo e non un fantasma, allora fammi fare l'esperienza di quello che a me è impossibile: camminare come te sul mare?. E Gesù gli risponde: vieni! Pietro davvero comincia a vivere l'impossibile (Mt 14,29). Ma vedendo che il vento era forte s'impaurì e cominciando ad affondare gridò: Signore salvami! (Mt 14,30). A questo punto rivolgo a voi tutti lettori un paio di domande, perché non capisco bene. E' Pietro che ha lanciato una sfida al Signore, o è il Signore che ha sfidato Pietro? La richiesta di Pietro nasce dalla fede o dalla paura? Se guardo i primi passi compiuti da lui sul mare, verrebbe da dire: dalla fede. Se guardo come stava finendo, verrebbe da dire: dalla paura. Che ne pensate? Adesso ci penso prima un po' anch'io, poi riprenderò a scrivere.
Eccomi a tirare le somme di questo commento. Mi ha fatto bene fermarmi sulle domande che vi ho rivolto. E riparto ancora una volta da quel bellissimo subito che ritroviamo al v. 31. E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: uomo di poca fede, perché hai dubitato? Provo a declinare anche questa affermazione di Gesù. ?Caro Pietro, hai visto bene dentro il tuo cuore? Da dove è venuta la tua richiesta? Adesso lo sai. Sei uomo di poca fede perché hai cercato la soluzione al tuo dubbio e alla tua paura mettendomi alla prova. Ti sei accorto quanto somigli ai tuoi padri? Ti ricordi quando essi si trovarono nel deserto dove li condussi per fare esperienza del mio amore provvidente? Anche lì, nonostante i molteplici segni della mia vicinanza, mi mettevano continuamente alla prova. Non si parla così con me! Però non ho rifiutato la tua sfida sfidandoti a mia volta, perché tu conoscessi la verità del tuo cuore. Ho detto: vieni! Cioè, va bene Pietro, sia fatta la tua volontà. E ora vedi che nel fare la propria volontà non si va molto lontano. Anzi, si affonda in mare. Però lo spazio della fede autentica è proprio lì: quando stai affondando e vivi nella tua paura. Quando hai gridato a me, quando invece di guardare te e ciò che è intorno a te, hai alzato gli occhi su di me. Solo allora ti sei comportato da credente e hai potuto sentire la mia mano potente afferrarti subito! Cerca bene la paura che ti abita e vacci a vivere. Non aver paura delle tue paure. Perché se da lì elevi la tua preghiera, toccherai ancora con mano la mia onnipotente mano!?
Credo che a questo punto le domande che vi avevo rivolto hanno trovato una piccola luce. Ammettiamolo, anche noi siamo come Pietro. Pensiamo che la radice della fede in Dio sia la sua risposta alle nostri pressanti richieste (che spesso sono pretese), invece che l'abbandono sereno e fiducioso al suo amore. Nel fiume infido della nostra storia come vogliamo navigare? Tenendo gli occhi fissi su Gesù o sulla crescente paura che affligge la vita nostra e altrui? Il Card. Comastri, figlio spirituale di S. Teresa di Calcutta, racconta che un giorno si trovava insieme a un gruppo di sacerdoti che dialogava con la madre circa i tempi che si stavano abbattendo sulla chiesa. Era il tempo della contestazione e delle defezioni diffuse, c'era dunque da avere tanta paura. Allora madre Teresa, partendo dall'episodio di questo vangelo, disse loro: ?State attenti! Voi pensate che la chiesa sia forte quando cammina sulle acque, cioè quando tutto va bene, quando tutti la applaudono o si inchinano davanti ad essa. No, non è questo il momento della vera grandezza della chiesa. La chiesa infatti è forte ed è veramente se stessa quando sente affondare il piede nella propria debolezza e, come Pietro, tende la mano a Gesù gridando con umile fede: Signore, salvami! Solo allora la chiesa avverte che subito la mano forte di Dio la stringe e la solleva dalle insidie della storia?. Dunque se senti che stai per affondare, ricordati, è giunto il momento di lasciarsi afferrare.
Omelia di don Giacomo Falco Brini
Vicinanza e presenza di Dio, certificato di garanzia di salvezza per tutti
La parola di Dio di questa XIX domenica del tempo ordinario che celebriamo all'antivigilia della solennità dell'Assunta ci aiuta a camminare sulla strada di una fede più forte, adulta, coraggiosa e fiduciosa nel Signore. Senza la fede e senza fiducia in Dio non possiamo risolvere nessun problema della nostra vita, soprattutto della vita interiore. Lo comprendiamo alla luce del Vangelo di oggi, in cui Gesù interviene per sedare una tempesta marina, durante la quale i suoi discepoli rischiarono di morire. Il vangelo di oggi è la successione dei fatti che avvennero dopo la moltiplicazione dei pani. Gesù si era ritirato solo sulla montagna a pregare, mentre i discepoli continuavano a svolgere il loro mestiere di pescatori. Finito di pregare si diresse verso di loro camminando sul mare e Pietro pensava che fosse un fantasma. E chiede la verifica se fosse davvero Lui, il Signore, per avere la certezza di uscire vivo da una situazione, che si era creata a bordo. Gesù più che rasserenarlo con le parole, gli chiede di venire verso di lui, camminando sulle onde del mare. Pietro incomincia a farlo, ma evidentemente la forza del vento e le onde del mare gli fanno perdere sicurezza dentro di sé e soprattutto la fiducia sulla parola che il Signore gli aveva detto. Poi tutto si ricompone nella salute e nella serenità di tutti, quando Gesù sale sulla barca e si quieta il mare e soprattutto la coscienza di Pietro e degli altri. Ma il rimprovero fu chiaro e sicuramente fece pensare a Pietro e al Gruppo e fa pensare anche a ciascuno di noi: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
La nostra poca fede si manifesta proprio nei momenti di maggiore difficoltà nella nostra vita. Pensiamo che Dio non sia dalla parte nostra e che nonostante si riveli a noi in tanti modi Egli non c'è vicino. Ma vicino il Signore è sempre a ciascun credente e all'intera chiesa, è vicino all'intera umanità, che spesso naviga in mari burrascosi e senza l'aiuto del Signore rischia di affondare o naufragare sotto le forze delle guerre e dell'odio e delle ingiustizie.
Anche nei momenti della vita personale ed ecclesiale, Dio si manifesta a noi nel silenzio, nella semplicità, nella croce, nella gioia più vera. Non ha bisogno, come tanti uomini, di fare rumore, di fatti eclatanti per dirci che c'è e ci sarà sempre, come ci rammenta la prima lettura di oggi, tratta dal primo libro dei Re, nella quale è presentata l' esperienza del profeta Elia nel momento in cui il Signore gli parla, in una caverna del monte Oreb, dove si era ritirato per trascorrere la notte: «Esci e fèrmati sul monte alla presenza del Signore». Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna?.
La caverna è simbolo della chiusura in noi stessi, nelle presunte nostre sicurezze. Dobbiamo uscire da noi stessi per poter davvero incontrare Dio ed ascoltare con chiarezza la sua voce. Se conserviamo un atteggiamento di estrema prudenza per garantire solo noi stessi, saremo degli egoisti e non avremo il cuore aperto a Dio e ai fratelli.
Perciò l'apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi, sempre tratto dalla sua fondamentale lettera ai Romani, rivela tutta la sua preoccupazione per la sua vita, per il mondo, per gli altri, inquadrando il tutto nella visione Cristologica della storia della salvezza, che viene portata a compimento nel mistero della Pasqua di Gesù. Scrive, infatti, con estrema sincerità, quello che leggiamo e che riguarda i suoi fratelli israeliti, che non hanno capito ed accettato il Messia: ?ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne?. E sottolinea, senza dimenticare tutto l'antica alleanza, che ?essi sono Israeliti e hanno l'adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi?, ma alla fine bisogna pure ammettere che Gesù Cristo ?proviene da loro secondo la carne?, è Lui, ?che è sopra ogni cosa?, e il ?Dio benedetto nei secoli?. E' l'ammissione totale della sua fede nel Cristo Redentore e la conferma della sua autentica conversione al Signore sulla via di Damasco.
Forte richiamo a noi uomini del XXI secolo dell'era cristiana di avere fede in Cristo, unico Salvatore del mondo, il Dio fatto uomo nel grembo verginale di Maria e venuto nella storia nostra per portare la gioia della vera vita a tutta l'umanità.
Sia questa la nostra preghiera, unita a tutta la comunità dei credenti che ascolta questa parola e speriamo la possa vivere ogni giorno con maggiore impegno di vita cristiana ed umana: ?Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annuncia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli. Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme, perché la sua gloria abiti la nostra terra. Amore e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno. Verità germoglierà dalla terra e giustizia si affaccerà dal cielo. Certo, il Signore donerà il suo bene e la nostra terra darà il suo frutto; giustizia camminerà davanti a lui: i suoi passi tracceranno il cammino? (Dal Salmo 84).
Omelia di padre Antonio Rungi
Liturgia e Liturgia della Parola della XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 13 agosto 2017