13 novembre 2016 - XXXIII Domenica del Tempo Ordinario: nella perseveranza salverete la vostra vita

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Il brano del Vangelo di Luca (Lc.21,5-19), che la Liturgia ci propone, fa parte del "discorso escatologico", il discorso che riguarda le "cose ultime" e che intende rivelarci che l'esito finale del mondo e della storia si trova oltre il tempo e lo spazio. Tuttavia Gesù non vuole soddisfare la curiosità di chi aspira a conoscere come sarà questo "oltre" il tempo e lo spazio ma illuminare il presente perché, ascoltando la sua parola, il suo discepolo sappia "vedere" il mondo che passa e finisce, come "segno" di una realtà che rimane per sempre. Gesù, la sua persona, la sua parola, sono la chiave interpretativa di tutta la realtà e della storia: Egli è il figlio di Dio che si è fatto uomo, è la Parola incarnata, è la fragilità che passa e la vita eterna che rimane. La Croce di Gesù è il momento più intenso della rivelazione del senso di tutto ciò che esiste: è il punto più drammatico della oscurità, della fragilità, dell'assurdo non senso e pure è il momento della luce più intensa, della vita che risorge, che vince al di là della morte. La Croce di Gesù è la rivelazione che il senso finale di tutto è l'Amore: l'amore che si annienta, che muore per diventare veramente amore, che si svuota di sé per accogliere il dono più grande. L'Amore è il senso più vero di questo mondo che passa e che muore, per poter entrare nell'infinito dell'Amore che non passa più. Così, non sappiamo come sarà l' "oltre", ma sappiamo che sarà la pienezza dell'amore che è già la vita del mondo: Gesù invita i suoi discepoli a non attaccarsi alle cose che passano, a non farsi illusioni, a non crearsi idoli, ma a vivere intensamente l' "oggi" che passa incominciando a gustare l'amore che non passerà più, ma diventerà sempre più grande. Vivere l'amore, liberare, dilatare gli spazi dell'amore, è il messaggio di Gesù attraverso il suo discorso escatologico: solo l'Amore rimarrà per sempre. Ma questa prospettiva stupenda che la parola di Gesù ci apre, non è facile: sarebbe superficiale ritenerla tale, è fortemente esigente. L'Amore si configura con la Croce di Gesù: occorre credere in Lui. Solo la fede ci apre la via dell'Amore e ci assicura la vita che non muore: la fede richiede il discernimento, il coraggio di decidere nel percorso di questa vita nella quale sovrabbondano le voci discordanti, le paure, i miti, gli idoli. Il discorso di Gesù si fa quindi raffinatamente pedagogico: solo il coraggio della libertà, apre alla fede e all'Amore.

Luca ci ha condotti con Gesù nel Tempio: "Mentre alcuni parlavano del Tempio, delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: Verranno giorni nei quali di quello che voi ammirate, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà demolita". Se una lettura superficiale ci fa pensare che Gesù (e Luca) alluda alla distruzione materiale del Tempio che sarebbe accaduta tra pochi anni, una lettura attenta ci fa capire che egli parla di una realtà più profonda. Luca sottolinea la diversità del modo con cui "alcuni" ammirano il Tempio e con cui lo guarda Gesù. Questi "alcuni" sono i suoi discepoli che ammirano il Tempio, il luogo sacro per eccellenza, la bella costruzione e i ricchi doni votivi che lo adornano. Gesù ne guarda la fragilità, la precarietà, non solo in quanto struttura materiale, ma proprio in quanto segno della relazione con Dio. Non sono tanto i Romani che distruggeranno il Tempio, ma è lui stesso, Gesù, che non lascerà pietra su pietra di un sistema cultuale splendido da ammirare, ma che rischia di illudere le attese più profonde dell'uomo perché non risponde alle domande che angosciano la sua mente e il suo cuore.. Così Gesù che ormai è prossimo alla passione, educa i suoi discepoli (e noi, oggi), ad andare oltre il Tempio e il sistema che esso esprime, a liberarsi, anzi a guardarsi da ciò che "è solo una cosa da ammirare", per aprirsi alla novità di un segno nuovo che è l'opposto di ciò che appare, ma, che, nella più piena verità, realizza le attese dell'uomo. A Luca interessa dire con chiarezza la novità che è Gesù, in rapporto al Tempio: e ancora una volta sottolinea il capovolgimento che Dio opera in rapporto all'uomo, allo splendore del Tempio Dio sostituisce l'umiliazione della Croce, ma la Croce è lo splendore dell'Amore, è la luce della gloria di Dio.

I discepoli hanno capito che il "maestro" sta aprendo per loro orizzonti nuovi, sta offrendo loro un "segno" nuovo. Ma essi ancora sono curiosi di conoscere il "come" e il quando": il "maestro" procedendo nella sua pedagogia, chiede loro la fede, una fede pura, spogliata di orpelli, che non cerca appoggi, chiede l'abbandono totale in "Lui solo". "Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo "Sono io", e "Il tempo è vicino". Non andate dietro a loro". Cercare, senza lasciarsi ingannare, Lui solo (l' "Io sono") è il cammino più liberante e più esigente della fede.

Poi Gesù continua l'educazione della fede dei suoi discepoli che vivendo nella storia sperimentano la paura, il terrore delle guerre, dei disastri che accadono in diversi modi, delle persecuzioni, dell'odio...Ai suoi discepoli che vivono nella storia, Gesù chiede di non volerne uscire, di rimanere dentro la complessità, l'oscurità, l'avversione: questa è la via della Croce. Ai suoi discepoli chiede la fede, la perseveranza: è dentro l'oscurità che risplende la luce, dentro la povertà più ripugnante che si fa strada l'onnipotenza di Dio. Ai suoi discepoli assicura: "Avrete allora occasione di dare testimonianza...io vi darò parola e sapienza". La fede è la certezza che Lui è con noi, non dove e come noi vorremmo che fosse, ma dove e come Lui ci accompagna: nel mondo fragile, debole, peccatore. "Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome": con i suoi discepoli Gesù è estremamente sincero e realista, non nasconde nulla, non illude nessuno. "Sarete odiati da tutti a causa del mio nome": è drammatico quel "da tutti". La fedeltà alla sua persona può condurre alla solitudine, alla emarginazione, all'odio anche da parte di quelli che sono più vicini, anche all'interno della Chiesa.

Ma se tutto è così, che senso ha la vita, il mondo, la storia? Di chi fidarsi, con chi consolarsi, appoggiarsi? Ai suoi discepoli Gesù chiede solo la fede fondata solo sulla sua Parola: "Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto: con la vostra perseveranza salverete la vostra vita". Vivere dentro la storia con l'Amore di Cristo, amare il mondo con tutti i suoi drammi, significa porre il seme di Dio dentro ciò che è fragile. Non sarà lasciata pietra su pietra di ciò che ammiriamo, non resteranno le belle pietre, non resteranno i doni votivi, tutto ciò che è nostro finirà: rimarrà ciò che abbiamo creduto, con fede pura, rimarrà solo l'Amore perché l'Amore è Dio.

Omelia di mons. Gianfranco Poma (Nemmeno un capello del vostro capo perirà)

 

Viene un Dio esperto d'amore

Verranno giorni in cui di tutto quello che ve­dete non sarà lascia­ta pietra su pietra. Niente è eterno sulla terra, eccetto l'uomo. Non resterà pietra su pietra, ma l'uomo resterà, frammento su frammento.

Questo Vangelo ci fa cam­minare sul crinale stretto della storia: da un lato il versante oscuro della violenza che distrugge: guerre, terre­moti, menzogne; dall'altro il versante pacificato da una immagine minima e fortis­sima: neppure un capello del vostro capo andrà per­duto. Il crinale della violen­za che distrugge, il versante della tenerezza che salva. E noi in mezzo, mantenendo chiaro il confine.

Quando avverrà tutto que­sto? Gesù non risponde al quando, perché il quando è adesso. Adesso il mondo è fragile, fragili la natura e l'a­more. Ogni giorno un mondo muore e un mondo nuo­vo nasce, con lacerazioni e germogli.

Invece del quando, Gesù in­dica come camminare: con perseveranza. Il cristiano non evade, non si toglie, sta in mezzo al mondo e alle sue piaghe, e se ne prende cura. Sta vicino alle croci di oggi, ma non per caso, se capita, fortuitamente, non occasio­nalmente, ma come proget­to, con perseveranza: nella perseveranza salverete la vo­stra vita. Ogni volta che per­severi e vai fino in fondo a un'idea, a una intuizione, a un servizio sfoci nella verità della vita. Ogni atto umano perseverante nel tempo si avvicina all'assoluto di Dio.

Salverete la vita significa la renderete libera da inganno e da violenza, i due elemen­ti distruttori del mondo, i due nomi che il Vangelo dà al nemico dell'uomo: Padre della menzogna e omicida fin dal principio .

Quello di oggi non è un Van­gelo sulla fine, ma un testo «apocalittico», cioè rivelato­re del senso della storia e del­le forze che la guidano.

I giorni dell'uomo sono pena e affanno, dice il salmista, ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.

Al di là di guerre, di odio e cataclismi, oltre la stessa morte, viene un Dio esperto d'amore. Per Lui nulla è in­significante di ciò che ap­partiene all'amato. È l'infi­nita cura di Dio per l'infini­tamente piccolo: un solo ca­pello del capo interessa al Signore. Cosa c'è più affidabi­le di un Dio che si perde a contarti i capelli in capo? Che ama come innamorato ogni fibra dell'amato, l'uo­mo nella sua interezza, uno solo dei capelli e tutto il mio mistero?

Mi colpisce una parola: sa­rete odiati da tutti. Discepo­li odiati: perché contestano la logica del mondo, sma­scherano l'inganno del de­naro e del potere, l'inganno del mondo che ama la mor­te dicendo di amare la vita. Ci sono due mondi, loro so­no dell'altro.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Ogni istante aspetterò, fino a quando quando quando...

Quando avverrà la fine di tutte le cose? Quando questo sistema disordinato e orripilante che è il mondo giungerà al suo epilogo? Sono gli interrogativi che da sempre l'intera umanità si è posta e anche fra i credenti hanno una certa ricorrenza. Anche in ambito clericale cattolico (e non soltanto presso le Sette e i Movimenti Religiosi alternativi) vi è stato chi ha fatto dei pronostici sulla "fine del mondo" e non di rado si sono date farlacche interpretazioni apocalittiche di eventi futuri in realtà estranei alla fine. La domanda sul "quando" ossessiona tutti. Neppure i discepoli di Gesù ne sono immuni, poiché all'annuncio che il Maestro fa sulla fine del tempio di Gerusalemme, replicano sgomenti: "Signore, quando avverranno queste cose e quale sarà il segno della fine?"

Fortunatamente Gesù non soddisfa curiosità frivole e melense. Se avesse comunicato ai suoi interlocutori la data esatta della fine cosmica, ebbene probabilmente non avremmo più vissuto la pienezza dei nostri giorni, poiché avremmo fatto ogni cosa nel servilismo dettato dalla trepidazione e dalla paura del giudizio. Avremmo in ogni caso mancato a noi stessi omettendo la virtù, il buon senso e la responsabilità e il nostro vivere sarebbe anche stato intriso di futilità e di insulsaggini dei godimenti degli ultimi giorni.

Come credenti ci saremmo dati alla preghiera e alla spiritualità, certamente, ma un tale sentire religioso sarebbe stato blando e inane.

L'evento della distruzione del tempio di Gerusalemme si verificherà di fatto nel 70 d.C, ad opera di Tito imperatore romano, ma Gesù non ha affatto preso il discorso per indicare date. Piuttosto vuole illuminarci sulla provvisorietà delle cose presenti e sulla loro caducità: anche prescindendo dalla fine del mondo ogni cosa è destinata a non perdurare o se dura a lungo è destinata a non suscitare più attrattiva. Se osserviamo il dilagare di una moda o di un costume, questi affascinano e seducono per tutto il tempo in cui perdurano. Impongono impiego di capitali, suscitano fibrillazioni in tanta gente, apportano anche variazioni nel vissuto di un gruppo o dell'intera società. Ma il tempo (tante volte relativamente breve) getta tutto nel dimenticatoio e un po' alla volta ciò che prima era di moda suscita sempre meno interesse fino a scomparire del tutto. Allo stesso modo, anche l'intero sistema presente è destinato a terminare con il tempo e lo stesso mondo cangiante non è mai definitivo. Tutto è momentaneo e provvisorio e impone allora che si apprezzi ogni cosa come dono, visto che ora c'è e potrebbe presto non esserci.

Impiegare al meglio il nostro tempo, vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, incrementare la valorizzazione di ciò di cui disponiamo e vivere l'intensità dei rapporti con gli altri è l'invito che ci fa il Signore mentre osserva anch'egli le sontuosità del tempio di Gerusalemme, poiché la fine di tutte le cose ci porterà a rimpiangere quanto abbiamo avuto, anche indipendentemente dal Giudizio finale.

Malachia ci infonde fiducia e speranza con la promessa della venuta del Messia sia in quanto evento già compiutosi in Cristo sia in quanto attesa del Veniente che tornerà a giudicare i vivi e i morti. Al di là del linguaggio duro e apocalittico del profeta, ci si dischiudono tempi nuovi e migliori nei quali trionferà la pace e la giustizia. Anche Gesù accenna alla conclusione del secolo presente tratteggiando dei segni premonitori oggetto di discussione fra i teologi, comunicandoci la certezza di un Incontro definitivo con lui Risorto e glorioso, ma ogni cosa è un guadagno e si raggiunge per merito, quindi il successo e la vittoria finale, come tutti i traguardi intermedi, non si ottiene se non dopo un lungo percorso di pazienza e di umile perseveranza. Trionferà il Sole di Giustizia che viene a visitarci dall'alto, il Cristo Re universale che esercita il suo dominio soprattutto nella croce che è la massima espressione della sua rivelazione come Amore, ma intanto non siamo esentati dal vivere la pienezza del presente in quanto attimo fuggente apprezzando ciò di cui disponiamo come realtà cagionevole e provvisoria, che potrebbe venirci a mancare. Nostro obiettivo finale non saranno allora le cose in se stesse, quanto lo stesso Signore Gesù Cristo che nel predisporci al suo incontro definitivo con lui ce ne fa disporre solo come mezzi transitori. Siamo invitati alla pratica oggettiva della virtù, della pazienza e della perseveranza senza che oltremisura ci attragga nulla di questo secolo.

Paolo insegna che "ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza."(Rm 8, 24 - 25). Fissare delle date e delle scadenze vuol dire annullare la speranza e togliere qualsiasi motivazione di perseverare e di credere e di conseguenza vanifica anche la stessa fede insieme alle altre virtù. Cedere al pronostico significa realizzare la propria vita nell'ipocrisia e nell'interesse effimero, vano e illusorio. La speranza è invece la forza con la quale costantemente si vive con fiducia l'imprevisto e la costante che ci è di sprone alla fiducia e alla perseveranza nella lotta e che incute vigore e forza nella certezza che i frutti matureranno in questa e nell'altra vita. La speranza nel Risorto ci fa vedere adesso il Cristo Risorto che realizzerà l'Incontro con noi nel giorno che non sappiamo; ci fa attendere istante per istante non nell'inerzia o nell'apatia ma nella creatività costruttiva.

Sempre Paolo ci ragguaglia inoltre della certezza che sperare, oltre che attendere fiduciosi il futuro, è anche vivere il presente con impegno, solerzia e abnegazione senza ritrosie o negligenze, ma con determinazione nella lotta e nella fatica: "chi non vuol lavorare neppure mangi" (2 Ts II lettura). Come pure equivale a mettere ordine in noi stessi e nella nostra vita per costruire un indispensabile equilibrio.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 13 novembre 2016

tratto da www.lachiesa.it