23 settembre 2012 - XXV Domenica del Tempo Ordinario: il primato dell'amore

News del 22/09/2012 Torna all'elenco delle news

La strada verso Gerusalemme è la stessa, il Rabbì di Nazareth e i suoi discepoli la percorrono insieme, ma i loro cuori e le loro menti sono su sentieri diversi.
Per la seconda volta, Gesù annuncia la sua passione, morte e resurrezione. Marco stesso annota che "essi non capivano queste parole" (v.32). C'è un'incomprensione radicale tra Gesù e i suoi discepoli. L'evangelista esplicita questa distanza con la risposta secca che i dodici danno all'amara domanda del Rabbì.
Lui parla di dare la vita, di consegnarla nelle mani degli uomini che lo uccideranno, annuncia la sua resurrezione e i suoi discepoli che fanno? Chi è il più grande tra di noi?. Questa è la loro preoccupazione.
Quanti secoli sono passati? Quanta storia di salvezza è palpitata nelle vene della Chiesa? Quanta santità ha attraversato le nostre strade? Eppure siamo ancora lì. A quell'incomprensione, insieme ai dodici. Preoccupati del nostro potere, grande o piccolo che sia; impegnati a guadagnarci un angolo di palcoscenico per saziare almeno un po' della nostra fame di protagonismo.

Ma tenetevi forte, perché il vero annuncio di questa domenica sta nella reazione di Gesù al radicale fraintendimento dei dodici. Proprio qui sta la novità del Vangelo, la bellezza di un Dio che capovolge gli schemi, che ci chiama fuori dalle nostre piccolezze che noi ci ostiniamo a chiamare normalità.
Il Rabbì di Nazareth non spara fulmini e saette, non li rifiuta, non li rimanda a casa. Si siede, li chiama vicini e ricomincia da capo. Forse i discepoli si erano accorti d'averla sparata veramente grossa, magari erano già pronti a subirsi un bel predicozzo e invece no. Gesù non è così. (Almeno Lui!)
Al centro sta il primato dell'amore. L'unica ragione per scegliere l'ultimo posto con la certezza che sia il primo. L'unico motivo logico per accettare un capovolgimento illogico. Logico, per il Vangelo di Gesù. Illogico, per il protagonismo che ci abita.

Quella del Rabbì è una novità radicale di vita, di pensiero, di lettura delle proprie scelte. Ho incontrato persone trasformate dalla logica del Vangelo, rimesse in piedi dalla vita dei sacramenti, aperte dalla potenza dello Spirito ad una consapevolezza nuova della propria storia personale, lanciate verso il futuro con il desiderio di gustare la vita con serenità e serietà, fatte nuove dalla grazia.
Può accadere ancora. Magari proprio a te.

Omelia di don Roberto Seregni
 

La Chiesa non può che accogliere

Il Vangelo riferisce uno dei momenti di crisi tra Ge­sù e i discepoli. Per pau­ra non lo interrogano, per vergogna non gli rispondo­no, si isolano da lui: meglio il buio che la luce. Nei Dodici si esprime la mentalità che si dirama ovunque in tutte le vene del mondo: competere, primeggiare, imporsi, «chi è il più grande?».
A questa voglia di potere, che è principio di distruzione della convivenza umana, Ge­sù contrappone il suo mon­do nuovo: «Se uno vuol esse­re il primo sia il servitore di tutti». Servo non per rinun­cia, ma per prodigio di co­raggio.
Servire: verbo dolce e pauro­so insieme, perché il nostro piacere è prendere, accumu­­lare, comandare, non certo essere servi. Invece servizio è il nome nuovo della storia, il nome segreto della civiltà. Ma questo non basta, c'è un secondo passaggio: «Servito­re di tutti» dice Gesù, senza limiti di gruppo, di famiglia, di etnìa, di chi lo meriti o non lo meriti, senza porre condi­zioni.
Ma non basta ancora, c'è un terzo gradino: «prese un bambino e lo mise in mezzo» il più inerme e disarma­to, il più indifeso e senza di­ritti, il più debole tra gli ulti­mi! Se non sarete così...Paro­le mai dette prima, mai pen­sate prima, scandalo per i giudei, follia per i greci, ma parole finalmente liberate come uccelli, come angeli, a raggiungere i confini del cuo­re. Diventate come bambini che vivono solo perché sono amati.
Gesù abbraccia il più picco­lo perché nessuno sia per­duto, non una briciola di pane, non un agnello del greg­ge, non due spiccioli di un te­soro. «Neppure un capello del vostro capo andrà per­duto, neppure un passero ca­de a terra» e come potrebbe andare perduto un bambi­no? Da lì parte il Signore Ge­sù, dall'infinitamente picco­lo inizia la sua cura perché nessuno si senta escluso. Dio e l'uomo hanno oggi nomi i­nusuali: servitore, bambino, ultimo! Il servitore di tutti, il bambino per cui il solo fatto di esistere è estasi, l'ultimo. Sono quelle parole abissali: o ti conquistano o le cancel­li per paura che siano loro ad abbattere il tuo sistema di vi­ta.
Il mondo nuovo, il mondo «altro»nasce da un verbo ri­petuto quattro volte nell'ultima riga del Vangelo: «Chi accoglie uno solo di questi bambini, accoglie me; chi ac­coglie me non accoglie me ma Colui che mi ha manda­to». «La vulnerabilità della vi­ta nella sua fragilità è il luo­go da cui prende le mosse l'e­tica condivisa» (Ricoeur).
La Chiesa o è accogliente o non è. Accogliere un bambi­no è accogliere Dio. Il volto di Dio inizia dal volto dell'al­tro (Levinass). 

Omelia di padre Ermes Ronchi
 

Liturgia della XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 23 settembre 2012

Liturgia della Parola della XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B): 23 settembre 2012