Messa della Notte di Natale in Cattedrale - Morrone: "Nella sua nascita come nella sua morte Gesù si trova dalla parte degli ultimi della storia"

News del 25/12/2022 Torna all'elenco delle news

OMELIA DELL'ARCIVESCOVO MORRONE

Carissimi,

anche questa notte gustiamo la gioia di poter celebrare il natale di Gesù, Grazia di Dio fatta carne che «porta salvezza a tutti gli uomini», amati da Dio. La nostra è una gioia intima, colma di gratitudine, per l’annuncio di vita offerto ancora una volta nel «bambino nato per noi», venuto ad insegnarci a vivere nel nostro quotidiano con sobrietà, con giustizia, con pietà, e perciò a rinnegare l’empietà, ogni malvagità e crudeltà che tanta sofferenza e morte procurano in ogni angolo di questo nostro piccolo mondo.

È una gioia discreta, sommessa, ma tanto desiderata perché constatiamo in noi e fuori di noi come la salvezza, confessata nel bimbo avvolto in fasce, è silenziata dall’assurdo e assordante deflagrare delle nostre e altrui cattiverie.

Come cantare i canti della vita, i canti della moltitudine degli angeli in questa notte santa, mentre un’altra moltitudine di uomini e di donne, piccoli e grandi, vive in estreme situazioni di precarietà per fame, per guerra, per brutalità, per inaudite sofferenze, per solitudini mortifere, frutto anche delle nostre iniquità che dilagano e, come inondazione inarrestabile, travolgono ogni bellezza e speranza di convivenza e solidarietà, di rispetto, di dialogo, di ascolto e accoglienza delle diversità etniche e religiose.

In questa santa liturgia in cui cielo e terra si congiungono in comunione nella tenera e indifesa carne dell’Emmanuele, non possiamo non avvertire come disumana, e perciò antievangelica, il dramma che si consuma nel cuore dell’Europa tra popoli le cui radici affondano nell’unico battesimo. Assurda logica che ha già seminato morte distruggendo l’esistenza di milioni e milioni di persone nel secolo scorso in questo nostro continente. Di fronte ad una minaccia di uno scontro nucleare che sembra più reale possiamo stare a guardare nell’attesa speranzosa che le spade come per incanto si trasformino in aratri? Certo la complessità geopolitica, culturale, religiosa ed economica del nostro villaggio globale a cui si aggiunge l’emergenza della sostenibilità ambientale strettamente connessa alla questione sociale con tutti i disastri umanitari ricorrenti fino alla crisi epidemiologica ed energetica, ci trova inadeguati, veramente piccoli per poter offrire un qualche orientamento o soluzione di massima.

Tuttavia quel «Bambino nato per noi … Consigliere mirabile, padre per sempre» ci chiede di non arrenderci all’evidenza di tanto male, ma di osare, di sperare contro ogni umana speranza (Rm 4,16). In realtà l’eucaristia che celebriamo ci richiama al fondamento della nostra fede, sostanza della speranza che opera nell’amore: è il mistero pasquale del Signore Gesù mentre facciamo memoria grata della sua nascita. La proclamazione della risurrezione del Crocifisso, quale mistero della fede, ci incoraggia e ci conforta sulla possibilità di far rinascere ogni speranza soffocata dalla rassegnazione. Non intendiamo però la speranza come aspettativa di continua rinascita in un ciclico ripetersi delle cose e degli avvenimenti sotto il segno del fato, del destino imponderabile di fronte al quale al massimo si può giocare la carta della dea fortuna, bendata e cieca, che ci solleva da ogni vera responsabilità negli avvenimenti della vita.

Nel piccolo cucciolo d’uomo Gesù, noi riconosciamo il Dio che chiama alla vita, che ci interpella ad uscir fuori da quell’oscuro turbamento che si annida nel cuore fino ad esplodere in disperazione quando si avverte di essere tagliati fuori dal banchetto dell’amicizia, del lavoro, dell’assistenza sanitaria, dall’istruzione e dalla cultura, dall’elementare diritto ad esprimere le proprie opinioni.

A chi, come i pastori, sente il peso schiacciante dell’esclusione anche in questa notte viene rivolto il lieto annuncio: «non temete, non lasciarvi cadere la braccia … oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo Signore». È il messaggio pasquale nella forma del sempre nuovo e sorprendente ritornare sulla vita umana nascente. Nell’umano vivere la nascita di un figlio d’uomo è sempre una chance di speranza, di sogno, di promessa: che sarà mai questo bambino? E quando si accende nel seno di donna la vita umana anche in mezzo a tragedie e disgrazie, perfino la notte più buia lascia intravedere una piccola lama di luce.

Ma quale il segno tangibile per ritornare a sperare?

«Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». Tutto qui? Si. Da questo piccolo, fragile e debole, impotente, figlio di migranti che non hanno trovato posto nell’alloggio per offrirgli una nascita decorosa, riparte sorprendentemente la storia. Il mondo sembra essersi capovolto. Mentre l’imperatore domina con un censimento gli abitanti a lui sottomessi, il Creatore dell’universo si concede nella piccolezza di un neonato e chiede di essere custodito e accolto, vestito e visitato, curato e difeso nella moltitudine di persone, suoi fratelli e sorelle che in ogni parte della terra reclamano giustizia, pane, casa, libertà, rispetto, visibilità, diritti elementari per una convivenza pacifica.

Certo rispetto alle attese messianiche del tempo e anche rispetto alle nostre più o meno inconsce aspettative di qualche provvidenziale messia che ci tolga le castagne dal fuoco senza colpo ferire, si rimane delusi di fronte a tanta insignificanza, così come si resterà scandalizzati di fronte al Crocifisso che si concede nella sua nuda e misericordiosa debolezza al nostro sguardo.

Nella sua nascita come nella sua morte l’Incarnato, Gesù di Nazaret, si trova dalla parte degli ultimi della storia: da qui, dal basso di chi non ha nome, schiacciato negli inferi dell’irrilevanza, Dio plasma la sua dimora dall’umanità di una giovanissima donna, sconosciuta e insignificante, una tra le tante, ma uditrice attenta della Parola, ancella del Signore.

Coloro però che nel piccolo di Betlemme come nel Crocifisso a Gerusalemme hanno riconosciuto il volto stesso di Dio che abbatte i potenti nell’orgoglio del loro cuore e innalza i miseri e i piccoli, si sono posti alla sua sequela e nel suo nome hanno aperto gli occhi ai ciechi, l’udito ai sordi, hanno rimesso in piedi i paralitici, hanno sanato i cuori affranti, hanno neutralizzato il veleno dell’odio, curato i malati, ospitato i profughi, accolto i senza dimora, custodito e protetto gli indifesi, hanno predicato mitezza e perdono, annunciando senza sosta il Vangelo della compassione, della riconciliazione e della pace.

Tutto questo, carissimi, è accaduto anche in questa nostra chiesa di Reggio e nel nostro territorio ad opera di non pochi testimoni che hanno «riconosciuto e creduto all'amore che Dio nel suo Gesù ha per tutti» (cfr 1Gv 4,16). È una testimonianza all’Amore che continua a manifestarsi anche oggi ad opera di tanti credenti, donne e uomini, piccoli e grandi, religiose e presbiteri, amministratori e operatori della sanità, educatori, professionisti e forze dell’ordine, in terra e in mare che in nome del Principe della Pace, per quanto è nelle loro possibilità e competenze, agiscono nel quotidiano della convivenza umana senza far rumore, senza ostentazione e clamore, ma con discrezione, nell’impercettibile tocco della carità cristiana che riaccende la speranza, illumina i volti, dirada un po' di tenebre e ridona fiducia e, anche per un solo giorno, fa gustare la gioia di essere guardati e stimati, coccolati per la semplice evidenza di essere persone, umani della stessa sostanza umana dell’Incarnato.

Ci aiuti con la sua vicinanza e intercessione materna, Maria, stella luminosa del mattino che annuncia il vero sole, Cristo Gesù, che sempre sorge per illuminare i nostri giorni e guidare i nostri passi sulla via della pace.

Santo Natale.

+ Fortunato Morrone

* Arcivescovo di Reggio Calabria - Bova

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