Giornata Mondiale dei poveri - Morrone: la povertà di Cristo è veramente la nostra fedele compagna di vita?

News del 13/11/2022 Torna all'elenco delle news

Omelia dell'arcivescovo Fortunato Morrone in occasione della celebrazione della Giornata Mondiale dei Poveri in Cattedrale:

 

“La Giornata Mondiale dei Poveri torna anche quest’anno come sana provocazione per aiutarci a riflettere sul nostro stile di vita e sulle tante povertà del momento presente”.

Con queste parole introduttive papa Francesco, nel suo messaggio, motiva il senso di questa VI Giornata dei poveri. In realtà non è mai sufficiente riflettere, pregare, e agire avendo i poveri come primi destinatari della cura di Dio, i primi ad essere evangelizzati, poiché a loro per primi è rivolto l’annuncio liberante del Vangelo. E voi carissimi, operatori caritas, ministri straordinari della comunione e della consolazione, avete accolto con sincerità il Vangelo sperimentando in voi quella povertà costitutiva della nostra umanità, sempre bisognosa dello sguardo misericordioso di Dio. Nella luce del Suo sguardo lo riconoscete nei concreti volti dei poveri da voi accolti e serviti. Dall’esistenza di Gesù, dal suo stile di vita e dalle sue scelte, avete compreso che Dio prende parte alle nostre vicende umane con quella parzialità paterna che non discrimina nessuno ma, ponendosi dalla parte dei suoi figli e delle sue figlie più deboli, più soli, più ai margini della vita sociale ed ecclesiale, opera giustizia chiedendo a noi tutti che nessuno venga escluso dalla mensa della vita affettiva, culturale, sociale, lavorativa, eucaristica.

L’affermazione di Paolo nella 2 lettera ai Corinzi: «Gesù Cristo (infatti) si è fatto povero per voi» (cfr 2 Cor 8,9), incipit del messaggio del papa, ci dice in che modo Dio in Gesù prende parte alla nostra vita. Ben sapete che non si può stare dalla parte dei poveri se non assumiamo anche noi la condizione di sofferenza e di marginalità dei poveri, se non sentiamo empatia, compassione e profonda vicinanza per questi nostri fratelli aiutandoli a venir fuori da una condizione di vita umana non dignitosa, certamente frutto di un sistema socio-politico ed economico distorto e iniquo che va combattuto anche nell’agone politico da chi si confessa cristiano. Al contrario l’azione caritativa, se non è ispirata dalla fede, si limita ad assistenzialismo filantropico che a sua volta rischia di risolversi in autogratificazione personale.

In realtà «[…] il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza. Come la Chiesa è missionaria per natura, così sgorga inevitabilmente da tale natura la carità effettiva per il prossimo, la compassione che comprende, assiste e promuove». (Evangelii Gaudium 179).

Dunque non è tanto e anzitutto una questione di azioni da compiere, quanto piuttosto un riandare al cuore della nostra fede, al motivo credente che spinge la vostra, nostra, carità, agape divina apparsa nell’umanità del Signore Gesù, a guardare ai poveri e custodirli e promuoverli come primi tra le sorelle e i fratelli amati da Dio. In tal senso si tratta di una grande opportunità di verifica e discernimento che dobbiamo immettere nel nostro cammino sinodale e sollecitati da papa Francesco «domandarci se la povertà di Gesù Cristo è la nostra fedele compagna di vita».

Pensiamo, per esempio, a come ha agito don Italo Calabrò: quale ragione profonda ha alimentato la sua carità pastorale e sociale, se non la fede che ha dato speranza di vita a tante persone poste ai margini in questo nostro territorio.

Se il Santo Padre anche quest’anno ci chiede di fermarci per pregare e riflettere sulla problematica mai risolta dei poveri e dei tanti volti che ne delineano il dramma e, tra i tanti, i migranti di cui in più occasioni vi siete presi cura come fratelli fragili e non come carico residuale, è perché sente forte il rischio che la comunità cristiana, nel suo cammino, possa smarrire la dimensione essenziale della fede, struttura portante della carità che genera amicizia, spazio di autentiche relazioni umane dove ognuno sente la calda compagnia di essere a casa.

Dopo la pandemia e nel vivo dell’attuale e assurdo conflitto bellico che mina la pace mondiale, c’è bisogno di relazioni nuove, fraterne, che sappiano prendere sul serio la domanda: la povertà di Cristo è veramente la nostra fedele compagna di vita?

Tale interrogativo deve risuonare nelle nostre comunità mentre tutta la Chiesa italiana, e noi con essa, è invitata a andare a Betania, la casa dell’amicizia, concreto luogo di relazioni umane abitate da Dio, perciò tempio della Sua presenza.

Nel brano del Vangelo di questa domenica, Gesù ci ha avvertito che del tempio costruito da mani d’uomo, luogo del culto che ordinava il ritmo della vita, non resterà che pietra su pietra. La vita umana si costruisce e si ordina intorno a relazioni significative di amicizia, di solidarietà, di compagnia, di accoglienza, di prossimità, di riconciliazione, di giustizia ed equità sociale, spazi umani in cui Dio, amante della vita di ogni persona umana si trova a casa.

Nel Vangelo di Giovanni Gesù, fin dall’inizio della sua missione ci chiede di distruggere il tempio che riflette una falsa immagine di Dio e la conseguente religione che pone il sabato e la legge, gli interessi e le convenienze di parte nazionale, politica, sociale, finanziaria, famigliare prima della persona umana.

Nel pane eucaristico spezzato, Cristo si rende presente veramente e sostanzialmente come simbolo sacramentale della Sua vita donata a noi e a tutti senza misura. Ma nello stesso tempo ci invita a rendere la nostra esistenza memoriale della liturgia celebrata, quale tempio e casa accogliente perché nessuno muoia di fame per affetti e diritti negati.

A Betania, a Nazaret, come in altri villaggi e dimore umane, Dio in Gesù si rivela come l’Amico che chiede amicizia e accoglienza, riconoscibilità a partire da chi non ha casa, da chi non è a casa: i profughi, i carcerati, gli affamati, chi non ha possibilità di accedere all’istruzione compresi i nostri ragazzi immessi nella bolla della dispersione scolastica e facili prede di chi, nella nostra città e territorio muove i fili del malaffare.

Lo scenario drammatico della storia narrato dal Vangelo di oggi e presente anche nel nostro tempo in calamità naturali, in guerre e povertà al limite della sopportazione con conseguenti flussi migratori di persone in cerca di libertà, di lavoro, di pace, offre ai credenti l’occasione della perseveranza nella fede che si traduce in testimonianza della carità di Cristo.

Pertanto, il vostro ministero, carissimi ministri straordinari della comunione, operatori Caritas e ministri della consolazione «è per l’edificazione del corpo del Signore e perciò ha riferimento essenziale alla Parola e all’Eucaristia fulcro di tutta la vita ecclesiale ed espressione suprema della carità di Cristo, che si prolunga nel “sacramento dei fratelli”, specialmente nei piccoli, nei poveri e negli infermi, nei quali Cristo è accolto e servito» (Premesse CEI al Rito di istituzione, 1 e 3).

Ecco carissimi, alla luce di queste brevi considerazioni e sollecitati dall’esortazione di papa Francesco, segnaliamo alcuni rischi in cui si può incorrere nella nostra vita cristiana e perciò nell’esercizio dei vari ministeri.

- Anzitutto il pericolo di ridurre il Vangelo a ideologia, a conoscenza dottrinale, intellettualistica, fine a sé stessa che non alimenta e motiva le scelte di vita quotidiana.

- Da qui il rischio di uno spiritualismo disincarnato che fa leva sulle devozioni più che sulla liturgia della Chiesa, offuscando nel fumo dell’incenso e nei riti processionali il volto dei fratelli sofferenti e dei malati che voi, cari ministri straordinari dell’eucaristia e ministri della consolazione servite con devozione.

- E poi la tentazione di declinare il servizio caritativo in assistenzialismo: si pensa più ai servizi offerti, al numero delle buste e pasti distribuiti agli assistiti che all’ascolto delle persone.

Ecco perché, dopo la pandemia, è importante riaprire i nostri servizi per incontrare le persone, accogliendo i loro volti, le loro storie, far nuovamente sedere i nostri amici, conoscerli, ritessere legami di amicizia come se accogliessimo Gesù a Betania. Questo vuol dire, lì dov’è possibile, lasciare la modalità da asporto delle mense per risponde al bisogno di senso e di relazioni con i fratelli e le sorelle che oggi, più che mai, deve essere rimesso al centro.

Non è l’attivismo che salva, - ci ricorda papa Francesco - ma l’attenzione sincera e generosa che permette di avvicinarsi a un povero come a un fratello che tende la mano perché io mi riscuota dal torpore in cui sono caduto” (Messaggio, 7).

Per questa Giornata, allora la Caritas diocesana ha scelto di evitare gesti che potessero essere letti come eventi a sé stanti. Si sono invece attivati percorsi di condivisione sulle difficoltà per ripartire nei servizi oltre l’emergenza.

La nostra Arcidiocesi ha una tradizione illustre nel servizio ai poveri, e non possiamo fare altro che essere grati per quanti hanno disegnato in maniera lungimirante percorsi di prossimità e di concreta promozione che nel tempo sono come gemmati in altre iniziative, avendo intercettato di anno in anno nuove forme di povertà.

Le nostre parrocchie, grazie al lavoro infaticabile della nostra caritas diocesana, nonostante la pandemia stanno ripartendo, i servizi di prossimità non si sono mai fermati, e molte sono le persone che a vario titolo offrono dedizione, impegno, fatica, amore, professionalità, per contrastare tutte le forme di povertà vecchia e nuova, realizzando opere silenziose e creative che in questa giornata trovano come l’esito e la ripartenza gioiosa.

Per tutto questo, Grazie di cuore a tutti voi!!!

Auguro a tutta la nostra Chiesa diocesana, in cammino sinodale, di seguire le tracce di maestri di vita cristiana come Mons. Giovanni Ferro e don Italo Calabrò, grandi testimoni di carità, capaci di lasciarsi evangelizzare dai poveri, di camminare con loro, insieme a loro. Pertanto ci ripetiamo con il nostro mantra sinodale: è meglio percorrere un centimetro di cammino insieme che un chilometro da soli.

A Maria santissima, madre della consolazione, consegniamo questi nostri desideri e a Lei affidiamo, in particolare, ciascuno di voi perché possiate vivere il servizio che la Chiesa vi consegna con passione credente e gioiosa.

AMEN! 

 

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