QUARESIMA 2022 - Messaggio di papa Francesco

News del 01/03/2022 Torna all'elenco delle news

 «Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo

a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione,

operiamo il bene verso tutti» (Gal 6,9-10a)

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima è tempo favorevole di rinnovamento personale e comunitario che ci conduce alla Pasqua di Gesù Cristo morto e risorto. Per il cammino quaresimale del 2022 ci farà bene riflettere sull’esortazione di San Paolo ai Galati: «Non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo a suo tempo mieteremo. Poiché dunque ne abbiamo l’occasione (kairós), operiamo il bene verso tutti» (Gal 6,9-10a).

1. Semina e mietitura

In questo brano l’Apostolo evoca l’immagine della semina e della mietitura, tanto cara a Gesù (cfr Mt 13). San Paolo ci parla di un kairós: un tempo propizio per seminare il bene in vista di una mietitura. Cos’è per noi questo tempo favorevole? Certamente lo è la Quaresima, ma lo è anche tutta l’esistenza terrena, di cui la Quaresima è in qualche modo un’immagine. [1] Nella nostra vita troppo spesso prevalgono l’avidità e la superbia, il desiderio di avere, di accumulare e di consumare, come mostra l’uomo stolto della parabola evangelica, il quale riteneva la sua vita sicura e felice per il grande raccolto accumulato nei suoi granai (cfr Lc 12,16-21). La Quaresima ci invita alla conversione, a cambiare mentalità, così che la vita abbia la sua verità e bellezza non tanto nell’avere quanto nel donare, non tanto nell’accumulare quanto nel seminare il bene e nel condividere. Il primo agricoltore è Dio stesso, che con generosità «continua a seminare nell’umanità semi di bene» (Enc. Fratelli tutti, 54). Durante la Quaresima siamo chiamati a rispondere al dono di Dio accogliendo la sua Parola «viva ed efficace» (Eb 4,12). L’ascolto assiduo della Parola di Dio fa maturare una pronta docilità al suo agire (cfr Gc 1,21) che rende feconda la nostra vita. Se già questo ci rallegra, ancor più grande però è la chiamata ad essere «collaboratori di Dio» (1 Cor 3,9), facendo buon uso del tempo presente (cfr Ef 5,16) per seminare anche noi operando il bene.

Questa chiamata a seminare il bene non va vista come un peso, ma come una grazia con cui il Creatore ci vuole attivamente uniti alla sua feconda magnanimità. E la mietitura? Non è forse la semina tutta in vista del raccolto? Certamente. Il legame stretto tra semina e raccolto è ribadito dallo stesso San Paolo, che afferma: «Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà» (2 Cor 9,6). Ma di quale raccolto si tratta? Un primo frutto del bene seminato si ha in noi stessi e nelle nostre relazioni quotidiane, anche nei gesti più piccoli di bontà. In Dio nessun atto di amore, per quanto piccolo, e nessuna «generosa fatica» vanno perduti (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 279). Come l’albero si riconosce dai frutti (cfr Mt 7,16.20), così la vita piena di opere buone è luminosa (cfr Mt 5,14-16) e porta il profumo di Cristo nel mondo (cfr 2 Cor 2,15). Servire Dio, liberi dal peccato, fa maturare frutti di santificazione per la salvezza di tutti (cfr Rm 6,22). In realtà, ci è dato di vedere solo in piccola parte il frutto di quanto seminiamo giacché, secondo il proverbio evangelico, «uno semina e l’altro miete» (Gv 4,37). Proprio seminando per il bene altrui partecipiamo alla magnanimità di Dio: «È grande nobiltà esser capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina» (Enc. Fratelli tutti, 196). Seminare il bene per gli altri ci libera dalle anguste logiche del tornaconto personale e conferisce al nostro agire il respiro ampio della gratuità, inserendoci nel meraviglioso orizzonte dei benevoli disegni di Dio.

La Parola di Dio allarga ed eleva ancora di più il nostro sguardo: ci annuncia che la mietitura più vera è quella escatologica, quella dell’ultimo giorno, del giorno senza tramonto. Il frutto compiuto della nostra vita e delle nostre azioni è il «frutto per la vita eterna» (Gv 4,36), che sarà il nostro «tesoro nei cieli» (Lc 12,33; 18,22). Gesù stesso usa l’immagine del seme che muore nella terra e fruttifica per esprimere il mistero della sua morte e risurrezione (cfr Gv 12,24); e San Paolo la riprende per parlare della risurrezione del nostro corpo: «È seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza,risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale» (1 Cor 15,42-44). Questa speranza è la grande luce che Cristo risorto porta nel mondo: «Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1 Cor 15,19-20), affinché coloro che sono intimamente uniti a lui nell’amore, «a somiglianza della sua morte» (Rm 6,5),siano anche uniti alla sua risurrezione per la vita eterna (cfr Gv 5,29): «Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13,43).

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