6 agosto - Festa della Trasfigurazione del Signore: la vita è scendere da quel monte

News del 06/08/2022 Torna all'elenco delle news

Oggi, la festa  della Trasfigurazione, ci incoraggia a credere che il Signore Gesù è ancora con noi e tra noi e in tanti momenti della nostra vita manifesta questa sua presenza con segni prodigiosi di consolazione e di sostegno. Poter contemplare il volto di Dio,  se pur nell'esperienza del cuore, significa aver raggiunto una piccola vetta del paradiso. 
Signore, grazie per la tua bontà; come Pietro vogliamo dirti che ci piace stare con te, offrici la perseveranza e la fedeltà, e rendici capaci di superare ogni tentazione e ogni prova.

Commento di don Pasqualino Catanese

 

Il racconto che l’evangelista Luca fa della Trasfigurazione ha un dettaglio che egli mette in evidenza in tutti i passaggi nevralgici della vita di Gesù. Questo dettaglio è la preghiera: “E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante”. Nel battesimo, come nella trasfigurazione o nell’agonia nel Getsemani, Luca dice che Gesù sta pregando. È bello pensare che la preghiera ci introduce nelle grandi esperienze esistenziali. Gesù prega e si sente amato (battesimo), prega e si sente illuminato (trasfigurazione), prega e sente di non essere solo (l’angelo che lo consola nel Getsemani).

È una cosa che ho potuto appurare di persona più volte incontrando molta gente. Le persone che pregano veramente sono anche fisicamente diverse: emanano una sorta di misteriosa luce nello sguardo, nel volto, nei gesti, nel sorriso, e persino nella sofferenza. Si intuisce una profondità che negli altri è assente. La preghiera è ciò che davvero ci mette in comunicazione con un mondo altro che ha la sua porta proprio nel nostro cuore. Ma non dobbiamo dimenticare che questa immersione di luce sul monte Tabor che oggi ricordiamo in maniera solenne ha lo scopo di preparare Gesù e i suoi discepoli alla discesa del buio della Croce. Finchè non impariamo a collegare tra loro i momenti di luce e quelli di buio che ci capitano, siamo condannati a sprecare entrambi. Le cose belle e le cose brutte sono sempre collegate tra di loro, e solitamente sono le cose belle che ci permettono di non soccombere alle cose brutte. La domanda è se ce ne accorgiamo (2022).

 

La luminosa festa della Trasfigurazione di cui oggi facciamo memoria ci porta idealmente sul monte Tabor, luogo dove i discepoli devono apprendere una lezione indimenticabile: “«Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati” .È la paura a suggerire a Pietro questa soluzione. È la paura che ci fa cercare rassicurazioni persino nella fede. “Tre capanne”, per tenere sotto controllo ciò che non si può tenere sotto controllo, cioè il Mistero. Ma avere fede non significa piantare una tenda come una certezza che ti rassicura. Significa invece “ascoltare” il Figlio Amato: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E il messaggio di questo Figlio è di una semplicità disarmante: scendere da quella montagna! A noi non piace scendere. A noi non piace la “cruda realtà” della nostra vita. Vorremmo sempre effetti speciali. Ma nessuno può arrivare a capire la Pasqua se non “scende”. La teologia chiama questo processo kenosis, ed è la via tracciata da Gesù. Il significato della vita non è nella fuga dalla realtà, ma nel fondo della realtà. Bisogna bere fino in fondo tutto il calice amaro di quello che siamo, che stiamo vivendo, che ci sta accadendo per poter seguire davvero il Figlio di Dio, non ci sono alternative. Nessuno può dire di ascoltare il Figlio se non prende sul serio ciò che in questo momento sta vivendo, la sua nuda e cruda realtà. Ma non con un ascolto qualsiasi, ma con un ascolto di amore. È sempre difficile scendere dal Tabor, perché è sempre difficile amare ciò che c’è e non ciò che vorremmo ci fosse. Ma il discepolato è esattamente seguirlo con fiducia in questa fatica. Il cristianesimo è vivere a modo Suo non a modo nostro. Solo così si riesce a scavallare un altro monte, il Calvario. È solo seguendolo con questa fiducia che si arriva oltre ciò che sembra la fine. È solo così che dal buio si passa alla luce della Pasqua. 

Commento di don Luigi Maria Epicoco

 

Trasfigurarsi con la preghiera

Il 6 agosto di ogni anno, con data fissa, celebriamo la festa della Trasfigurazione di nostro Signore Gesù Cristo sul Monte Tabor, davanti a testimoni come Elia e Mosè e davanti agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Questa festa è meglio conosciuta come la festa del SS. Salvatore e in alcune zone come la Festa del Volto Santo di Gesù.

E' una festa importante da un punto di vista cristiano, molto sentita dal popolo santo di Dio, perché ci riporta ad uno dei momenti più belli vissuti da Gesù e dai tre apostoli sul monte della gloria.

E' la festa del paradiso, ma anche della Passione di Cristo. Una festa che ci offre l'opportunità in questo mese di agosto di riflettere sul significato non solo della trasfigurazione di Cristo, ma sulla nostra trasfigurazione. Ogni tempo è favorevole perché nella nostra vita ci possiamo e dobbiamo trasfigurare, cioè cambiare in meglio il nostro visto spirituale, ma l'estate ha una carica in più, perché questo possa avvenire, trasformandoci in attenti cristiani che danno spazio alla vita spirituale e che salgono sul monte, insieme a Gesù, a contemplare e a pregare.

L'importanza della preghiera e della contemplazione per ogni cristiano è fuori discussione. Senza la preghiera che è il respiro e l'ossigeno dell'anima, difficilmente possiamo affrontare il buon combattimento della vita quotidiana. Certo Gesù, dove aver manifestato la sua gloria, al punto tale che i tre privilegiati apostoli chiedono al Signore di continuare a stare lì, ritornano nel volto della sua umanità e nel volto della sua sofferenza. Riprende il cammino e scende giù a valle, perché l'attende la scalata di un'altra importante montagna, quella del calvario, alla quale fa riferimento riportando alla realtà anche i suoi gioiosi e felici discepoli.

Sull'esempio di Gesù, anche noi dobbiamo scendere dall'esperienza della contemplazione, dell'isolamento, del silenzio, della tranquillità, dai nostri veri o presunti paradisi e non solo spirituali, in quanto ci attende la vita di ogni giorno con le sue gioie e i suoi affanni, con le sue croci e con i vari calvari da salire. La sequela di Cristo passa attraverso l'assunzione della croce. Chi vuol venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Ecco l'essere vicino a Gesù, dopo la trasfigurazione sperimentata nella preghiera e nella contemplazione, magari nel silenzio e nella solitudine di un eremo, di un convento, di un ritiro, si può trasformare in un tempo per stare a valle, vicino alle sofferenze degli altri. Oppure, in opposizione allo stile di vita di Gesù, si può trasformare in un tempo di distrazioni, che normalmente ci offre, soprattutto il mese di agosto, dimenticandoci di Dio e della carità verso gli ultimi e i sofferenti. Non si comprende il Tabor senza comprendere la valle delle lagrime, come recitiamo nella preghiera mariana della Salve Regina. "A te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lagrime".

Stare a valle, ridiscendere dal monte ha anche esso un significato cristiano, se scendendo dopo l'esperienza della preghiera noi possiamo incontrare i volti sofferenti dei nostri fratelli ed asciugare le loro lagrime, spesso nascoste per dignità da questi nostri fratelli e sorelle che sono nella sofferenza e che, per non essere di peso agli altri si tengono tutto per sé custodendo gelosamente, come Maria che conservava tutto nel suo cuore, le loro piccole o grandi sofferenze. Trasfigurarsi con la preghiera è salire con Gesù sul Monte Tabor e contemplare la gioia eterna del volto luminoso di Dio, ma anche salire il Monte del calvario, dove la preghiera di Gesù sull'altare della Croce è espressa attraverso le sette parole che il Maestro pronuncia mentre sta a offrire il suo sangue per noi, per redimerci da ogni colpa ed aprirci le porte del Paradiso, una volta per sempre, e non solo per un breve tempo, come quello sperimentato dagli apostoli sul Monte della gioia.

Scrive san Giovanni Paolo II, Papa, nell'Esortazione apostolica "Rosarium Virginis Mariae", nel presentare i contenuti teologici del mistero luminoso della Trasfigurazione che "Mistero di luce per eccellenza è poi la Trasfigurazione, avvenuta, secondo la tradizione, sul Monte Tabor. La gloria della Divinità sfolgora sul volto di Cristo, mentre il Padre lo accredita agli Apostoli estasiati perché lo ascoltino (cfr Lc 9, 35 e par) e si dispongano a vivere con Lui il momento doloroso della Passione, per giungere con Lui alla gioia della Risurrezione e a una vita trasfigurata dallo Spirito Santo".

Commento e preghiera di padre Antonio Rungi

 

La vita è scendere dal quel monte

Ho avuto la fortuna di passare un’intera settimana proprio sul monte Tabor, e in quei giorni mi aggiravo su quell’altura cercando di cogliere nella luce del sole e nello splendore delle pietre qualcosa che si avvicinasse almeno lontanamente a quello che hanno vissuto Pietro, Giacomo e Giovanni quel giorno con Gesù. Sapevo bene che la mia era un’ingenuità, ma questa esperienza vissuta da loro la reputavo e la reputo così decisiva che avevo desiderio di non sprecare quei giorni se non facendo incetta di luce.

Si ha sempre molto bisogno di luce quando poi bisogna attraversare il buio. Lo scopriranno anche questi amici di Gesù. Egli li aveva condotti fin lassù dando loro un’esperienza indelebile che non aveva il significato di una semplice predilezione, ma di un aiuto che avrebbero capito con il tempo. Certe cose belle, certi periodi belli, certi rapporti belli il Signore ce li da affinchè poi possiamo anche vivere dopo cose difficili, facendoci coraggio soprattutto della memoria di ciò che in quei momenti ci ha fatto sentire amati e voluti. Alcuni brevi istanti della nostra vita sono delle vere e proprie trasfigurazioni. Esse sono lì non per poi vivere di rimpianti ma per affrontare le cose difficili. E non bisogna nemmeno pensare come Pietro che certe cose debbano durare per sempre. La vita è scendere dal quel monte. “«Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quel che diceva”. Il grande proposito che la festa di oggi ci fa fare è quella di riconoscere o ricordare le Trasfigurazioni che Dio ci ha donato nella nostra vita. Era Lui in quei giorni e in quelle circostanze; Lui splendente della luce degli amici, delle persone che ci hanno voluto bene, di quel paesaggio, di quel mare, di quella musica. Era Lui vestito di Luce.

Commento di don Luigi Maria Epicoco (2020)

 

Gesù salì sul monte a pregare e il suo volto si trasfigurò!

Ricorre oggi la festa della Trasfigurazione del Signore, celebrata a partire dal IV secolo in oriente e dall' XI in occidente. In questa festa si contempla il volto di Gesù Cristo radioso di una luce di vita e di comunione destinata a tutto l'universo, all'umanità intera.

Nel brano evangelico Luca scrive che «Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare» e, ?mentre pregava?, si verificò il luminoso mistero della sua trasfigurazione. Salire sulla montagna per i tre Apostoli ha perciò voluto dire essere coinvolti nella preghiera di Gesù, che si ritirava spesso in orazione, specialmente all'alba e dopo il tramonto, e talvolta per tutta la notte. Solo però quella volta, sulla montagna, sul Tabor, Egli volle manifestare ai suoi amici la luce interiore che lo ricolmava quando pregava: il suo volto - leggiamo nel Vangelo - «cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante». Le sue vesti, dunque, lasciarono trasparire lo splendore della Persona divina del Verbo incarnato.

C'è un altro dettaglio, proprio del racconto di san Luca, che merita di essere sottolineato: l'indicazione cioè dell'oggetto della conversazione di Gesù con Mosè ed Elia, figura della Legge e dei Profeti, apparsi accanto a Lui trasfigurato. Essi - narra l'evangelista - «parlavano della sua dipartita (in greco éxodos), che stava per compiersi a Gerusalemme». Gesù, dunque, ascolta la Legge e i Profeti che gli parlano della sua morte e risurrezione. Nel suo dialogo intimo con il Padre, Egli non esce dalla storia, non sfugge alla missione per la quale è venuto nel mondo, anche se sa che per arrivare alla gloria dovrà passare attraverso la Croce. Anzi, Cristo entra più profondamente in questa missione, aderendo con tutto se stesso alla volontà del Padre, e ci mostra che la vera preghiera consiste proprio nell'unire la nostra volontà a quella di Dio.

L'evangelista prosegue scrivendo che «mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Sant'Agostino commenta questo passo biblico dicendo che noi abbiamo una sola dimora: Cristo; Egli «è la Parola di Dio, Parola di Dio nella Legge, Parola di Dio nei Profeti» (cf Sermo De Verbis Ev. 78,3: PL 38, 491). Infatti, il Padre stesso proclama: «Questi è il Figlio mio, l'eletto, ascoltatelo!». La Trasfigurazione, quindi, non è un cambiamento di Gesù, ma è la rivelazione della sua divinità, «l'intima compenetrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce. Nel suo essere uno con il Padre, Gesù stesso è Luce da Luce».

Per un cristiano, pertanto, pregare non è evadere dalla realtà e dalle responsabilità che essa comporta, ma assumerle fino in fondo, confidando nell'amore fedele e inesauribile del Signore. Per questo, la verifica della trasfigurazione è, paradossalmente, l'agonia nel Getsemani (cf Lc 22,39-46). Nell'imminenza della passione, Gesù ne sperimenterà l'angoscia mortale e si affiderà alla volontà divina; in quel momento la sua preghiera sarà pegno di salvezza per tutti noi. Cristo, infatti, supplicherà il Padre celeste di ?liberarlo dalla morte? e, come scrive l'autore della lettera agli Ebrei, «fu esaudito per la sua pietà» (cf Eb 5,7). Di tale esaudimento è prova la risurrezione.

La preghiera, dunque, non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita o di morte. Solo chi prega, infatti, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna, che è Dio stesso. Chiediamo a Maria, Madre del Verbo incarnato e Maestra di vita spirituale, di insegnarci a pregare come faceva il suo Figlio, perché la nostra esistenza sia trasformata dalla luce della sua presenza.

Omelia di don Lucio D'Abbraccio

 

La Trasfigurazione non era destinata agli occhi di chiunque. Solo Pietro, Giacomo e Giovanni, cioè i tre discepoli a cui Gesù aveva permesso, in precedenza, di rimanere con lui mentre ridava la vita ad una fanciulla, poterono contemplare lo splendore glorioso di Cristo. Proprio loro stavano per sapere, così, che il Figlio di Dio sarebbe risorto dai morti, proprio loro sarebbero stati scelti, più tardi, da Gesù per essere con lui al Getsemani. Per questi discepoli la luce si infiammò perché fossero tollerabili le tenebre della sofferenza e della morte. Breve fu la loro visione della gloria e appena compresa: non poteva certo essere celebrata e prolungata perché fossero installate le tende! Sono apparsi anche Elia e Mosè, che avevano incontrato Dio su una montagna, a significare il legame dei profeti e della Legge con Gesù. 

La gloria e lo splendore di Gesù, visti dai discepoli, provengono dal suo essere ed esprimono chi egli è e quale sarà il suo destino. Non si trattava solo di un manto esterno di splendore! La gloria di Dio aspettava di essere giustificata e pienamente rivelata nell’uomo sofferente che era il Figlio unigenito di Dio. 

 

LITURGIA DELLA PAROLA DELLA FESTA DELLA TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE tratto da www.lachiesa.it

 

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