23 dicembre 2018 - IV Domenica di Avvento: attendere, infinito del verbo amare

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Attendere: infinito del verbo amare. Solo le madri sanno come si attende. E infatti il vangelo ci offre, mentre il Natale è qui, la guida di due donne in attesa. Maria si mise in viaggio in fretta. Ecco il genio femminile: l'alleanza con un'altra donna, Elisabetta. Da sola non sa se ce la farebbe a portare il peso del mistero, del miracolo. Invece insieme faranno rinascere la casa di Dio.

Maria va leggera, portata dal futuro che è in lei, e insieme pesante di vita nuova, di quel peso dolce che mette le ali e fa nascere il canto: una giovane donna che emana libertà e apertura. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. L'anziana, anche lei catturata dal miracolo, benedice la giovane: benedetta tu fra le donne, che sono tutte benedette.

Dove Dio giunge, scende una benedizione, che è una forza di vita che dilaga dall'alto, che produce crescita d'umano e di futuro, come nella prima di tutte le benedizioni: Dio li benedisse dicendo «crescete e moltiplicatevi» (Gen 1,28).

Due donne sono i primi profeti del nuovo testamento, e le immagino avvicinarsi «a braccia aperte,/ inizio di un cerchio /

che un amore più vasto / compirà» (Margherita Guidacci). Il canto del magnificat non nasce nella solitudine, ma nell'abbraccio di due donne, nello spazio degli affetti. Le relazioni umane sono il sacramento di Dio quaggiù.

Magnifica l'anima mia

il Signore. Maria canta il «più grande canto rivoluzionario d'avvento» (D. Bonhoeffer), coinvolge poveri e ricchi, potenti e umili, sazi e affamati di vita nel sogno di un mondo nuovo.

Mi riempie di gioia il fatto che in Maria, la prima dei credenti, la visita di Dio abbia l'effetto di una musica, di una lieta energia. Mentre noi sentiamo la prossimità di Dio come un dito puntato, come un esame da superare, Maria sente Dio venire come un tuffo al cuore, come un passo di danza a due, una stanchezza finita per sempre, un vento che fa fremere la vela del futuro.

È così bello che la presenza di Dio produca l'effetto di una forza di giustizia dirompente, che scardina la storia, che investe il mondo dei poveri e dei ricchi e lo capovolge: quelli che si fidano della forza sono senza troni, i piccoli hanno il nido nella mani di Dio.

Il Vangelo, raccontando la visita di Maria ad Elisabetta, racconta anche che ogni nostro cammino verso l'altro, tutte le nostre visite, fatte o accolte, hanno il passo di Dio e il sapore di una benedizione.

Il Natale è la celebrazione della santità che c'è in ogni carne, la certezza che ogni corpo è una finestra di cielo, che l'uomo ha Dio nel sangue; che dentro il battito umile e testardo del suo cuore batte - come nelle madri in attesa- un altro cuore, e non si spegnerà più.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Questo piccolo grande amore per noi

Il Messia era il grande atteso, ma nessuno avrebbe mai immaginato in Israele che potesse sorgere nella città di Nazareth: nulla di buono poteva sorgere da quella città e dall'intera Galilea, tantomeno un profeta latore di divini messaggi (Gv 1, 46; 7, 52 - 53). Il Cristo di Dio era concepito come un soggetto capace di stravolgimento e di grandi affermazioni, di grandezza e di onnipotenza diretta. Assurdo era immaginarlo umile e sottomesso e che poi potesse nascere da una donna umilissima e sottoporsi alle cure di una famiglia povera e dimessa, era ancora più inaudito e inverosimile.

Ma già il profeta Michea esplicita che il vero Messia stravolge i nostri piano in un altro senso: non tiene conto delle pretese umane di autoaffermazione o dei desideri meschini di un Dio capace di imporre la sua volontà e delinea invece un Salvatore e Messia di condizioni estremamente umili, al punto che non nasce neppure a Nazareth, ma addirittura in uno sperduto villaggio della Giudea, forse neppure considerato (come già la stessa Nazareth) dalla carta geografica o dai riferimenti toponomastici. Una piccola borgata diventa la capitale della storia della salvezza e un aspro e solitario alloggio di fortuna improvvisato diventa una località rinomata e ambita fino ai nostri giorni da tutti coloro che hanno accettato di essere salvati e redenti. Dio non solamente predilige la piccolezza ma fa delle cose piccole realtà grandiose, esaltando tutto ciò che comunemente viene deprezzato dalla nostra mentalità superba. Così Betlemme, prima villaggio insignificante e abbandonato, diventa meta di pellegrinaggio già con la presenza di villani e pastori; Giuseppe e Maria, fino a poco tempo prima ignorati e vilipesi dalla reticenza degli abitanti di questo luogo, adesso diventano al centro dell'attenzione perché lo stesso Signore Bambino li rende oggetto di ammirevole attenzione. Il nostro Dio è grande non già perché imperioso e altisonante, ma perché capace di farsi piccolo senza riserve e perché atto ad esaltare la grandezza delle cose piccole e in apparenza insignificanti. "Per fare un tavolo ci vuole un fiore", diceva una vecchia canzone; proprio dalle cose apparentemente semplici e banali accanto alle quali si passa accanto alla velocità di 70 km orari emergono spesso le realtà grandiose ed edificanti e se si valorizzassero adeguatamente tutte quelle persone che passano inosservate nel nascondimento il mondo intero godrebbe di tantissime risorse apprezzabili. Occorre rilevare che, purtroppo, complice il dispendio, lo sfarzo e la subdola propaganda, le festività natalizie saranno per molti occasione di ostentare vanità, lussuria, ingordigia e il Natale pagano e consumistico non farà che accentuare il lato peggiore di tante persone. Proprio la festa che dovrebbe esaltare il valore dell'umiltà e della semplicità di vita diventa ogni anno occasione di spropositate voluttà, di spocchia e presunzione; eppure non potremo mai considerarci appagati e soddisfatti fin quando non saremo capaci di valorizzare il dono dell'umiltà, della mansuetudine e pazienza di cui il Bambino divino vuole essere dispensatore. Dal canto suo, nascendo dal grembo di una semplice fanciulla e restando sottomesso alle ristrettezze di una vita familiare priva di grosse risorse, il Figlio di Dio che si fa uomo ci dimostra che le cose più esaltanti sono proprio quelle più piccole e la vera grandezza risiede proprio nel farsi umili e sottomessi. C'è molta soddisfazione nel donarsi e nel servire, molto più che nel guadagnare a tutti i costi.

Di questo ci rende testimonianza anche l'incontro di gioia fra Maria ed Elisabetta, ambedue destinatarie di un beneficio straordinario nella persona dei due Bambini che sobbalzano nel loro grembo; e tuttavia anche queste due donne hanno sempre coltivato la fede nel nascondimento e nella mansuetudine, senza mai ostentare grosse pretese o mostrare virtù fittizie. Esulta nel grembo il nascituro che prenderà il nome di Giovanni = Dio ha misericordia perché si vede avvinto dalla misericordia di Dio Padre che alberga in Maria e che già inizia ad esplicitarsi. Elisabetta non esita a chiamare Maria ?Madre del Signore?, delineando con tale appellativo ancora una volta la grande predilezione di Dio per i semplici; Maria dal canto suo magnifica il Signore che ha fatto grandi cose nella sua umile serva. La prima di tutte queste cose è quella che ammireremo fra pochissimo, cioè l'incarnazione del suo Verbo nel grembo della stessa umile donna di Nazareth che in forza di questo stesso evento potrà vantare di essere stata chiamata Beata da tutte le nazioni.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

L’esperienza del divino rende più umani

Quanto vorremmo che la nostra vita avesse un sussulto! Una delle esperienze più tristi è sapere che una persona, ancora in salute, non intende alzarsi dal letto perché non ha niente da fare e non si aspetta nulla di buono da quella giornata. Non possiamo permettere che vite belle che hanno dato tanto sfioriscano prima del tempo per solitudine o incuria di sé. Ma cosa può dare un sussulto e far muovere chi è fermo, spingendolo ad andare sempre incontro alla vita? Maria «andò in fretta» perché era abitata da una presenza che aveva accolto con gioia.

Non era una presenza qualunque, ma un figlio, e per giunta il Figlio di Dio! Essendo un unicum nella storia universale, la ‘novità’ che Maria custodisce non è assimilabile ad altre esperienze umane né descrivibile se non balbettando qualcosa ma, osservando ciò che la fanciulla di Nazareth pone in essere, possiamo intuire il mistero che la attraversa. Ella, invece di fermarsi e bearsi di sé per quanto le sta capitando, si mette in viaggio e si lascerà dichiarare beata da un’altra persona; la presenza del divino la rende ancora più umana, poiché Maria regalerà ad Elisabetta e ad ognuno di noi un emblema di ciò che rende la vita pienamente umana: la relazione interpersonale. Il viaggio non è motivato da una ragione esplicita, se non il bisogno di contemplare il segno che l’angelo le ha indicato, la prodigiosa gravidanza della sterile cugina. Chi cerca il divino non si estranea dalla realtà, ma trova fratelli da abbracciare. L’incontro avviene «nella casa di Zaccaria», il sacerdote incredulo, che imparerà nei tre mesi di permanenza di Maria la fecondità del silenzio scelto per lasciarsi parlare unicamente da Dio e non dalle proprie incertezze. Che risonanze aveva il saluto della Vergine tanto da far sussultare il bambino nel grembo di Elisabetta? All’interno di un normale scambio di affetto tra donne in attesa, Dio, che viene in un abbraccio, compie la prima Epifania del Figlio e la prima Pentecoste dello Spirito, perché «Elisabetta fu colmata di Spirito Santo». L’umanità in attesa di una vita riscattata dal male riconosce Colui che compie le promesse di bene donando il suo respiro. È significativo che Luca non parli espressamente della presenza del bambino, ma della voce della madre che determina la reazione di Giovanni, perché colui che sarà la voce del Messia viene catturato dal timbro di voce più somigliante a quello di Gesù. il vaso che contiene il buon profumo di Cristo è intriso della sua fragranza, cosicché ciò che è ancora invisibile viene reso visibile da chi ne custodisce la presenza. Noi viviamo nel tempo in cui il Signore non è visibile ai sensi esteriori ma il battezzato, insieme ai segni sacramentali, è chiamato ad essere la visibilità del Verbo nel mondo. Siamo fedeli a questo compito? Ancora una volta impariamo dal silenzio di Maria che, prima di elevare il suo Magnificat, lascia che la cugina prorompa in tutta la sua confessione di fede. Credo che anche questa sia una indicazione sapienziale per gli evangelizzatori: è necessario bussare, salutare, farsi accogliere e solo dopo raccontare la propria esperienza di Dio, che in tal modo troverà un terreno più disponibile alla sua azione trasformante. C’è un vangelo della vita che precede il vangelo della Parola e, senza il primo, la trascendenza di quest’ultimo verrà scambiata per estraneità alle varie situazioni esistenziali, invece che orientamento alla verità di tutte le cose. Elisabetta proclama Maria come la depositaria delle benedizioni divine e dichiara la propria indegnità dinanzi al dono della presenza del «Signore». È la prima volta che Gesù viene così appellato ed ella spiega che il sussulto è una espressione di gioia. Di solito una madre è felice per il bambino che porta in sé, ma adesso la madre e persino il figlio non ancora nato sono capaci di cogliere una letizia superiore, passando dalla gioia per la vita a quella per la fonte della vita. Non c’è ombra di invidia, ma il riconoscimento sincero della prima beatitudine evangelica che si incarna nella vita di una persona: Maria è beata perché ha avuto fede nella parola del Signore. In questo senso, il bambino che porta dentro di sé l’ha già resa perfetta discepola; è come se iniziasse già da ora l’evangelizzazione che in seguito sarà affidata agli apostoli. Come Maria, tu doni, tu vai, tu lavi i piedi degli altri solo perché i sentimenti di Cristo ora sono i tuoi, solo perché la sua missione è già diventata la tua e tutto questo ti rende felice anche se non potrai mai esaurire il mistero che porti dentro.

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

LITURGIA E LITURGIA DELLA PAROLA DELLA IV DOMENICA DI AVVENTO (ANNOC) 23 DICEMBRE 2018