30 aprile 2017 - III Domenica di Pasqua: Gesù, il compagno di viaggio che non riconosciamo
News del 29/04/2017 Torna all'elenco delle news
La strada di Emmaus racconta di cammini di delusione, di sogni in cui avevano tanto investito e che hanno fatto naufragio. E di Dio, che ci incontra non in chiesa, ma nei luoghi della vita, nei volti, nei piccoli gesti quotidiani.
I due discepoli hanno lasciato Gerusalemme: tutto finito, si chiude, si torna a casa. Ed ecco che un Altro si avvicina, uno sconosciuto che offre soltanto disponibilità all'ascolto e il tempo della compagnia lungo la stessa strada.
Uno che non è presenza invadente di risposte già pronte, ma uno che pone domande. Si comporta come chi è pronto a ricevere, non come chi è pieno di qualcosa da offrire, agisce come un povero che accetta la loro ospitalità.
Gesù si avvicinò e camminava con loro. Cristo non comanda nessun passo, prende il mio. Nulla di obbligato. Ogni camminare gli va. Purché uno cammini. Gli basta il passo del momento, il passo quotidiano.
E rallenta il suo passo sulla misura del nostro, incerto e breve. Si fa viandante, pellegrino, fuggitivo, proprio come i due; senza distanza né superiorità li aiuta a elaborare, nel racconto di ciò che è accaduto, la loro tristezza e la loro speranza: Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?
Non hanno capito la croce, il Messia sconfitto, e lui riprende a spiegare: interpretando le Scritture, mostrava che il Cristo doveva patire.
I due camminatori ascoltano e scoprono una verità immensa: c'è la mano di Dio posata là dove sembra impossibile, proprio là dove sembra assurdo, sulla croce. Così nascosta da sembrare assente, mentre sta tessendo il filo d'oro della tela del mondo. Forse, più la mano di Dio è nascosta più è potente.
E il primo miracolo si compie già lungo la strada: non ci bruciava forse il cuore mentre ci spiegava le Scritture? Trasmettere la fede non è consegnare nozioni di catechismo, ma accendere cuori, contagiare di calore e di passione. E dal cuore acceso dei due pellegrini escono parole che sono rimaste tra le più belle che sappiamo: resta con noi, Signore, perché si fa sera. Resta con noi quando la sera scende nel cuore, resta con noi alla fine della giornata, alla fine della vita. Resta con noi, e con quanti amiamo, nel tempo e nell'eternità.
E lo riconobbero dal suo gesto inconfondibile, dallo spezzare il pane e darlo.
E proprio in quel momento scompare. Il Vangelo dice letteralmente: divenne invisibile. Non se n'è andato altrove, è diventato invisibile, ma è ancora con loro. Scomparso alla vista, ma non assente. Anzi, in cammino con tutti quelli che sono in cammino, Parola che spiega, interpreta e nutre la vita. È sulla nostra stessa strada, «cielo che prepara oasi ai nomadi d'amore» (G. Ungaretti).
Omelia di padre Ermes Ronchi
Noi testimoni del Cristo Risorto
Non siamo stati tra gli apostoli che conobbero personalmente Gesù, né siamo stati tra gli apostoli che videro Gesù Risorto, compreso il dubbioso Tommaso; eppure anche noi siamo i testimoni di oggi del Cristo Risorto, perché crediamo sulla parola del Signore, senza averlo visto.
L'essere testimoni del Risorto, a distanza di XX secoli dell'inizio del cristianesimo, vuol dire cogliere il nucleo portante della fede cristiana e dell'annuncio della fede cristiana.
Dalla risurrezione di Gesù scaturisce ogni legittima fede in ogni parola che è uscita e continuerà ad uscire dalla sua bocca, mediante il ministero dell'insegnare che la Chiesa porta avanti nel nome del Risorto.
Con l'assemblea che si riunisce per la Pasqua settimanale, in questa terza domenica del tempo pasquale, vogliamo elevare la nostra umile preghiera a Dio con queste parole di gioia e di speranza: "O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto, che apre il nostro cuore all'intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell'atto di spezzare il pane".
Proprio nella prima lettura di questa terza domenica abbiamo la possibilità di entrare nel cuore e nella sostanza stessa del primo annuncio missionario che i discepoli del Signore proclamarono all'indomani della discesa dello Spirito Santo su di loro. Capire le scritture e riconoscere Gesù nello spezzare il pane, ovvero nella celebrazione eucaristica.
Nella santa messa siamo invitati ad accogliere la parola di Dio e a partecipare alla mensa eucaristica.
Il testo degli Atti degli Apostoli che ascoltiamo oggi riguarda proprio il giorno della Pentecoste, quando "Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così: «Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene -, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l'avete crocifisso e l'avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere".
Ed aggiunge con coraggio "Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni".
Lo furono testimoni del Risorto gli apostoli fino a dare la propria vita per il Signore, lo siamo oggi noi testimoni del Risorto quando viviamo secondo il Vangelo e mettiamo in pratica quando Cristo ci ha insegnato, senza aver paura anche di essere uccisi per causa del Vangelo.
Oggi registriamo tanti atti eroici di veri cristiani che muoiono da autentici martiri, per testimoniare la loro genuina fede nel Cristo Salvatore e Redentore.
Di fronte al mistero della morte, della risurrezione e della vita, il Salmo 15 ci incoraggia a guardare la nostra esistenza terrena nell'orizzonte dell'eternità, con queste parole: "Per questo gioisce il mio cuore ed esulta la mia anima; anche il mio corpo riposa al sicuro, perché non abbandonerai la mia vita negli inferi, né lascerai che il tuo fedele veda la fossa. Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra".
E sempre la parola di Dio di questa domenica ci parla dell'importanza di alimentarsi ad essa in ogni circostanza, lieta o triste, della nostra vita, come avvenne per i discepoli di Emmaus che ebbero la gioia di avere come compagno di viaggio Gesù Risorto stesso, senza che se ne accorgessero, se non quando si mise a tavola con loro, essendo ormai sera e il giorno volgeva al termine, e spezzò il pane, rifacendo lo stesso gesto dell'ultima sua cena con gli apostoli nel cenacolo della gioia, ma anche del dolore; della carità, ma anche dell'odio da parte di Giuda; della speranza, ma anche della disperazione di alcuni dei discepoli che non avevano compreso esattamente chi era davvero il loro Maestro.
Infatti, l'evangelista Giovanni ci ricorda nel brano di oggi che mentre i discepoli, che andavano verso Emmaus, conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
La comprensione della vera identità del Maestro avverrà dopo, quando Gesù fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Questa esperienza di conoscenza diretta del Signore e dell'incontro a faccia a faccia con lui, fece scattare negli apostoli quello che noi chiamiamo la testimonianza di quanto vissuto e che gli altri dovevano sapere per necessità di cosa e anche con una certa urgenza e premura.
Infatti i discepoli di Emmaus fecero subito ritorno a Gerusalemme per andare ad avvisare gli Apostoli di quanto era capitato a loro: "Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane".
Anche questa apparizione di Gesù si colloca in un contesto liturgico pasquale e ci invita a fare due cose importanti in questo tempo di Pasqua: istruirsi nella fede e partecipare alla messa, memoriale della Pasqua di Cristo ed attualizzazione dell'evento salvifico, portato a compimento da Cristo nella sua morte e risurrezione.
In questa prospettiva di vita e risurrezione, facciamo nostro quanto ci dice l'Apostolo Pietro, nel brano della seconda lettura di oggi: "Se chiamiamo Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportiamoci con timore di Dio nel tempo in cui viviamo quaggiù come stranieri".
E un ricordo ben preciso da parte di San Pietro del dato dottrinale circa la persona di Cristo: "Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia... e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.
Noi siamo stati redenti dal sangue preziosissimo di Gesù. Aver questa consapevolezza, conoscere questa verità di fede ci spinge nella direzione che la parola di Dio di questa domenica ci indica con esattezza: essere testimoni di un Dio Crocifisso e Risorto per amore e in questo mare infinito d'amore siamo chiamati a navigare ogni attimo della nostra vita per capirne il senso, l'orientamento e destino finale di ognuna di essa. Perché davanti a Dio ogni vita è degna di essere vissuta, amata e rispettata, perché destinata alla risurrezione finale.
Omelia di padre Antonio Rungi
Noi siamo suo popolo e gregge del suo pascolo
I vangeli delle prime domeniche di Pasqua ci hanno raccontato l'incontro di Gesù risorto con Maria Maddalena e gli Undici discepoli. La liturgia, a partire da questa domenica (III di Pasqua, 30 aprile 2017), vuole aiutarci ad approfondire il significato di questo fatto servendosi di alcune importanti immagini bibliche. La prima ce la offre Giovanni Battista che definisce Gesù: l'"Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo".
Chi è Gesù?
Giovanni Battista chiama Gesù Agnello di Dio all'inizio del IV Vangelo, dimostrando d'essere già a conoscenza dell'esito pasquale di Gesù. Della Sua morte e resurrezione. Questo conferma un dato che ritorna in tutti i Vangeli: il fatto che siano stati proclamati e scritti, anche quelli che ci narrano dell'infanzia di Gesù, nell'orizzonte della Pasqua del Signore. Di fatto Giovanni Battista compie un passaggio importante: dall'alta considerazione sacrificale dell'agnello secondo la Pasqua ebraica alla identificazione di questo stesso agnello con Gesù, Agnello di Dio. Operazione che Gesù stesso metterà in atto durante l'Ultima Cena.
Un'esperienza che facciamo anche noi, quando, usando certe parole ci capita di accorgerci - con l'andare del tempo e in ragione di certe particolari esperienze - che si si arricchiscono di nuovi significati. Un accumulo di significati che attesta la vitalità del nostro linguaggio, che altrimenti rimarrebbe lettera morta e vuota. Giovanni Battista fa sicuramente un cammino tutto all'interno del linguaggio biblico, a riguardo della figura dell'agnello del sacrificio e dell'agnello pasquale. Consapevole soprattutto che si trattava però di un passaggio spirituale. Dovuto allo Spirito, come lui stesso dice: "ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui".
"Io non lo conoscevo"
Questo processo di identificazione dell'agnello pasquale ebraico con la Pasqua di Gesù si avvia però da uno stato iniziale di profonda ignoranza. Giovanni Battista afferma per ben due volte: "Io non lo conoscevo". Giovanni cioè era consapevole di non conoscere l'identità profonda di Gesù. Per questo si è lasciato guidare, si è lasciato prendere per mano dallo Spirito santo. Da solo non sarebbe mai arrivato a tanto, dicendo ad alta voce: "Ecco l'Agnello di Dio" che Si fa carico dei peccati del mondo. Come? Anzitutto rileggendo il senso della sua predicazione, unita al segno di quel battesimo di penitenza verso il quale tanti accorrevano: "Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele". Giovanni rilegge la sua vicenda di predicatore appassionato e di battezzatore instancabile, accorgendosi che la ragione profonda che muoveva tutta quella gente a chiedere perdono e di misericordia era proprio Gesù. Per questo allora è lui che Gli spiana la strada. Sino a quando Gesù gli compare davanti, perché voleva essere battezzato anche Lui: "ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo". Giovanni Battista arriva a percepire chi è Gesù rileggendo i segni che Dio aveva disseminato nella sua vita. Scavando e alimentandosi della parola dei profeti, della Parola di Dio, come Maria, la Madre di Gesù.
"Io ho visto e ho testimoniato"
Quando il Battista, dunque, dice che Gesù è davvero l'Agnello di Dio, esprime certo un significato compiuto, fatto di parole. Ma la vita è più grande. La vita, nel suo significato ultimo, si ritrova in una consegna di sé che porta oltre le parole che la descrivono e la identificano. Come anche è capitato a Gesù che, dopo tanto parlare, spiegare e dimostrare e discutere, "avendo amato i suoi li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Giungendo ad una fine che si consuma nell'estrema testimonianza del dono di Sé. Là dove la vita si consegna e si dona. Come "agnello muto davanti ai suoi tosatori", direbbe Isaia; come Gesù, l'Agnello che a Pasqua semplicemente ci invita non tanto a dire parole, ma a declinare nella nostra vita, concretamente, il Suo stesso dono: "fate questo in memoria di me". Anche Giovanni Battista, prossimo ormai alla morte, dal carcere aveva osato esporre a Gesù una domanda estrema: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?" (Mt 11,2ss) e poi semplicemente va incontro alla sua morte. Le parole prendono luce o ombra secondo gli accadimenti della vita, secondo certe emozioni del cuore. Solo il dono di sé ha la forza di una testimonianza convincente. Come lo stesso Giovanni aveva affermato: "Io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio".
Quanti altri agnelli nel mondo, ancora oggi, con la loro stessa vita nnocente, con la loro tenera e fragile esistenza - spesso martoriata, talvolta offerta in modo consapevole, ma molto più spesso semplicemente esposta alla cattiveria che avita la nostra storia - continuano a proclamare a loro modo al mondo la grande testimonianza pasquale di Gesù, "Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo".
Omelia di don Walter Magni
Liturgia e Liturgia della Parola della III Domenica di Pasqua (Anno A) 30 aprile 2017