28 agosto 2016 - XXII Domenica del Tempo Ordinario: Dio regala gioia a chi produce amore

News del 27/08/2016 Torna all'elenco delle news

Gesù amava i banchetti, li adottava a simbolo della fraternità e a pul­pito del suo annuncio di un Dio e un mondo nuovi. Invi­tarlo però era correre un bel rischio, il rischio di gesti e pa­role capaci di mettere sottosopra la cena, di mandare in crisi padroni e invitati.

Ed ecco che, presso un capo dei farisei, diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti, no­tando come entrare nella sala era entrare in un clima di competizione, osservando co­me si dissolveva in invidie e rancori il senso della cena in­sieme che è la condivisione. Vedendo la corsa ai primi po­sti, reagisce opponendo a quella ricerca di potere un ge­sto eloquente e creativo:

Quando sei invitato va a met­terti all'ultimo posto. Ma non per umiltà, non per modestia, ma per creare fraternità, per dire all'altro: prima tu e dopo io; tu sei più importante di me; vado all'ultimo posto non perché io non valgo niente, ma perché tu, fratello, sia servito per primo e meglio. L'ultimo posto non è una condanna, è il posto di Dio, venuto per ser­vire e non per essere servito. La pedagogia di Gesù è «opporre ai segni del potere il po­tere dei segni» (Tonino Bello), segni che tutti capiscono, che parlano al cuore. All'ultimo posto non per umiltà ma per rovesciare, per invertire la sca­la di valori su cui poggia la nostra convivenza e per delinea­re un altro modo di abitare la terra.

E poi, rivolto a colui che l'ave­va invitato, aggiunge: Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini. Sono i legami normali che garantiscono l'eterno equilibrio del dare e del­l'avere, la difesa dei tuoi beni e gli interessi del tuo gruppo; sono i legami che tengono in­sieme un mondo che si difen­de e si protegge, che segue la legge un po' gretta della reci­procità e del baratto, e che non crea inclusione.

Ma c'è, alla periferia del tuo, un altro mondo, e ti riguarda: Quando offri una cena invita poveri, storpi, zoppi, ciechi. Ac­cogli quelli che nessuno ac­coglie, crea comunione con chi è escluso dalla comunio­ne, dona senza contraccam­bio, dona in perdita a coloro che davvero hanno bisogno e non possono restituire nien­te. Gesù ha un sogno: un mon­do dove nessuno è escluso, u­na città da costruire partendo dalle periferie, dagli ultimi del­la fila, dagli uomini del pane a­maro.

«E sarai beato perché non han­no da ricambiarti». Sarai bea­to, troverai la gioia e il senso pieno del vivere nel fare le co­se non per interesse, ma per generosità. È la legge della vi­ta: per star bene l'uomo deve dare, amando per primo, in perdita, senza contraccambio. Sarai beato: perché Dio rega­la gioia a chi produce amore.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

A tavola: due riflessioni su umiltà e generosità

Come in tutte le civiltà, il sedersi a mensa con altri assume un significato che travalica il semplice nutrirsi: il banchetto è quasi una metafora della vita, uno specchio dei comportamenti umani e delle loro conseguenze. La Bibbia ne parla spesso, e anche Gesù, che non disdegnava di mettersi a tavola con amici e nemici, se ne avvale per trasmettere i suoi insegnamenti. Lo fa mediante le parabole (una per tutte: quella del ricco che banchetta lautamente, incurante del povero alla sua porta), lo fa prospettando il futuro (l'abbiamo sentito domenica scorsa: tutti i popoli siederanno a mensa con Abramo Isacco e Giacobbe); lo fa lasciando i frutti del suo operato sotto forma di cibo, di cui nutrirci in quel banchetto che è la Messa; lo fa, come nel brano odierno (Luca 14,1-14), rilevando i comportamenti di chi invita e di chi è invitato.

Anche oggi, nelle occasioni ufficiali, i posti a tavola più vicini al personaggio principale sono riservati agli ospiti di riguardo. Invitato a pranzo da un personaggio di spicco (uno dei capi dei farisei, si precisa), Gesù nota che gli altri intervenuti cercano di darsi lustro occupando i primi posti, cioè i più vicini al padrone di casa. Davanti a quello spettacolo di arrivismo egli, con una punta di ironia, osserva: "Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto. Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: Amico, vieni più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato".

Dal banchetto, a tutti gli altri momenti della vita. Quanti, così spesso restii a riconoscere le capacità e i meriti degli altri, si affannano ad affermare sé stessi, la propria importanza, la propria superiorità. Sono i professionisti del "Lei non sa chi sono io"; sono quelli che pretendono il riconoscimento dei propri spesso solo presunti meriti, magari con l'accesso a posti di prestigio, o col vedere prevalere la propria opinione. Ma, a parte le immancabili delusioni, ci si dimentica che non è il posto che fa l'uomo, e la vera grandezza non è mai disgiunta dall'umiltà.

Ancora sul banchetto, il brano odierno prosegue con un altro richiamo. "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch'essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti". Ovviamente, il richiamo riguarda ogni espressione della vita: dunque, la generosità non deve avere secondi fini; non bisogna dare per calcolo, pensando ai vantaggi che se ne potranno avere. E non tanto per evitare delusioni, o per coltivare l'intimo compiacimento di sentirsi superiori, ma con sincerità di cuore, considerando che quello di cui possiamo disporre (beni materiali, e i sempre possibili beni non materiali, quali l'intelligenza, il tempo, la cultura) ci è dato non per nostro uso esclusivo ma come un patrimonio da amministrare per il bene comune.

Umiltà e generosità contraddistinguono un vero uomo, e a maggior ragione un cristiano: a maggior ragione, per due motivi. Primo, perché così ha fatto Gesù, il quale si è umiliato nascondendo la sua divinità sotto le misere spoglie umane, ed è stato generoso tanto da dare per noi la sua stessa vita. Secondo, perché il cristiano si fida delle sue promesse, in particolare quelle comprese nel vangelo di oggi: "Chi si umilia sarà esaltato" e "Riceverai la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti", cioè nella vita eterna.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Passò alla storia come il miglior Ultimo della classe

Dal punto più distante dalla luce: «Nell'oscurità l'immaginazione lavora più attivamente che in piena luce» (I. Kant). Dal punto più profondo dell'abisso: «Solo finché c'è il gusto dell'abisso c'è avventura umana» (G. Ceronetti). Dal punto più scadente dell'umano, da sempre l'abitacolo dell'Eterno: «Invita poveri, storpi, ciechi, zoppi. Sarai beato: non hanno da ricambiarti». La provocazione cucita addosso al Cristo dei Vangeli trattiene la forza di una cattedrale, l'umile fattezza d'una catapecchia. Sotto i riflettori cede volentieri il posto a chi è nato attore, a chi sogna un giorno d'esserlo: scribi, farisei, dementi, miscredenti. Io, forse tu, qualcun altro. Al buio della sua presenza - ch'è poi alla luce splendida del suo amore di misericordia -, firma invece l'anagrafe alle persone sincere, quelle che nella miseria si sono arricchite d'una povertà-da-imboscate. Povertà che li rende alquanto signori: non han proprio nulla con cui poter restituire.

A scuola il Rabbì era il miglior ultimo della classe: sempre in ultima fila. E' esattamente l'uomo del quale un giorno gli avversi saran costretti a dire che nessuno mai ha parlato come Lui: «"Gli ultimi saranno i primi". Promessa che basterebbe da sola a spiegare la fortuna del cristianesimo» (E. Cioran). E non si potrebbe dire altrimenti di uno che s'è affilato le unghie con chi le unghie le ha perdute grattando i fondali: per risalire la scarpata, per non morire senza una carezza, per non mollare l'appiglio della vita. Partito ultimo - in fila, al Giordano, gomito a gomito con una ciurma di peccatori -, finirà come l'ultimo degli infami, sul patibolo del Golgota-calvo: gomito a gomito con chi aveva irriso la storia, dileggiato la Grazia. E' la storia dell'Ultimo che diventa il Primo, eccezione unica alla morte che non perdona: ancor oggi, a conti fatti, la Risurrezione è rimasta il suo marchio-di-fabbrica. Dalle profondità alle altezze, le vertigini sono identiche: per chi vorrà mostrarsi suo seguace senza minimamente dirlo - ch'è la faccia dell'unica santità che non sia tarocca, taroccata - bazzicare nei bassifondi dell'umano sarà come per un atleta di salto in lungo prendere la rincorsa: s'andrà più lontano, ci si butterà più dentro, si scalerà di più in altezza. Perché «chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». Punto, a capo.

I segni-del-potere cercano d'allora gli scribi: la mitria e il pastorale, la veste e la chiave, la faccia e l'anello. Il potere-dei-segni propose loro il Cristo d'Iddio: il sudiciume della polvere, l'odore delle pecore, lo starnuto infettivo dei moribondi. Da sotto a sopra, per mandare il mondo sotto-sopra, facendogli dono della vergogna d'essersi pensato raccomandato solo perché seduto prima dell'ultimo arrivato: «Non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: "Cedigli il posto". Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto». Non solo d'umiltà son imbevute le parole del Cielo, trattengono pure un concentramento d'umano, un battito d'allegrezza a vantaggio dei perdenti: uno più-degno. Non uno più importante, uno meglio vestito, anche solo una faccia-più-nota. E' l'esser-degno di Paolo, l'indegno riaccreditato per pura grazia, restaurato con purezza di grazia, la parola diventata graziosa: «Io sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio».

E' tutta l'estate che Cristo viaggia a profilo-basso, divertendosi ad invertire le prospettive di chi si pensa già salvato per merito: la gioia dentro la tristezza, il guadagno d'amore nascosto nell'apparente perdita degli amori, l'Eterno dentro un granello di sabbia. Cristo nelle fibre sfiancate dei miserabili: nel camminare dello storpio, nella vista arguta di un cieco, nell'andatura sciancata dello zoppo, nel lusso sfrenato di un povero. Non fosse Cristo, sarebbe un illusionista: «Una religione che promette un futuro di beatitudine agli ultimi della terra, non poteva che avere un grandissimo seguito, perché il mondo è fatto in gran parte di ultimi smaniosi di riscatto» (M. Soriano). Siccome è Cristo, però, la faccenda è delle più serie: in alto, solo partendo da lontano. Dal basso: il paese che non ha nulla con cui contraccambiare. Dove l'amore, quando s'accende, è gratuito. Angelico.

Omelia di don Marco Pozza

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 28 agosto 2016

tratti da www.lachiesa.it