21 agosto 2016 - XXI Domenica del Tempo Ordinario: La porta stretta è per chi si fa ultimo

News del 20/08/2016 Torna all'elenco delle news

Due immagini potenti: una porta stretta e davanti ad essa una folla che si accalca e preme per entrare. Poi, con un cambio improvviso di prospettiva, la seconda immagine ci porta oltre quella soglia stretta, immersi in un'atmosfera di festa, in una calca multicolore e multietnica: verranno da oriente e da occidente, da nord e da sud e siederanno a mensa...

La porta è stretta, ma si apre su di una festa. Eppure quell'aggettivo ci inquieta. Noi pensiamo subito che "stretto" significhi sacrifici e fatiche. Ma il Vangelo non dice questo. La porta è stretta, vale a dire a misura di bambino e di povero: se non sarete come bambini non entrerete... La porta è piccola, come i piccoli che sono casa di Dio: tutto ciò che avete fatto a uno di questi piccoli l'avete fatto a me... E se anche fosse minuscola come la cruna di un ago (com'è difficile per quanti possiedono ricchezze entrare nel Regno di Dio, è più facile che un cammello passi per la cruna dell'ago) e se anche fossimo tutti come cammelli che tentano di passare goffamente, inutilmente, per quella cruna dell'ago, ecco la soluzione, racchiusa in una della parole più belle di Gesù, vera lieta notizia: tutto è possibile a Dio (Mc 10,27). Lui è capace di far passare un cammello per la cruna di un ago, Dio ha la passione dell'impossibile, dieci cammelli passeranno per quel minuscolo foro. Perché nessuno si salva da sé, ma tutti possiamo essere salvati da Dio. Non per i nostri meriti ma per la sua bontà, per la porta santa che è la sua misericordia. Lo dice il verbo "salvarsi" che nel vangelo è al passivo, un passivo divino, dove il soggetto è sempre Dio.

Quando la porta da aperta si fa' chiusa, inizia la crisi dei "buoni". Abbiamo mangiato alla tua presenza (allusione all'Eucaristia), hai insegnato nelle nostre piazze (conosciamo il Vangelo e il catechismo), perché non apri? Non so di dove siete, voi venite da un mondo che non è il mio.

Non basta mangiare Gesù, che è pane, occorre farsi pane per gli altri. Non basta essere credenti, dobbiamo essere credibili. E la misura è nella vita. «La fede vera si mostra non da come uno parla di Dio, ma da come parla e agisce nella vita, da lì capisco se uno ha soggiornato in Dio» (S. Weil).

La conclusione della piccola parabola è piena di sorprese: viene sfatata l'idea della porta stretta come porta per pochi, per i più bravi. Tutti possono passare per le porte sante di Dio. Il sogno di Dio è far sorgere figli da ogni dove, per una offerta di felicità, per una vita in pienezza. È possibile per tutti vivere meglio, e Gesù ne possiede la chiave. Lui li raccoglie da tutti gli angoli del mondo, variopinti clandestini del regno, arrivati ultimi e per lui considerati primi.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Una domanda a Dio: perché la sofferenza?

Se Dio è buono, perché permette che i suoi figli abbiano da affrontare sofferenze, tribolazioni, insuccessi e così via? L'interrogativo travaglia da sempre la vita dei credenti, talora al punto da indurre chi non trova risposta ad allontanarsi dalla fede.

L'interrogativo non è ignorato dalla Bibbia, che vi risponde con molteplici motivazioni. Una, importante, si trova nella seconda lettura di oggi (Lettera agli Ebrei 12,5-7.11-13), che ragiona così: Dio è Padre, e come tale si comporta nei confronti dei suoi figli, inesperti e talora ribelli, mossi dalla pretesa di sapersi regolare da sé, incuranti del rischio di danneggiare sé stessi e gli altri. Non è un buon padre quello che lascia sempre correre, che si disinteressa, che magari giustifica il comportamento sbagliato dei suoi figli; un buon padre non esita, quando occorre, a intervenire anche severamente.

Dunque non farà così anche il migliore dei padri, il Padre perfetto? Di qui l'esortazione della seconda lettura (Ebrei 12,5-13): "Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d'animo quando sei ripreso da lui, perché il Signore corregge colui che egli ama e percuote chiunque riconosce come figlio. E' per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento ogni correzione non sembra causa di gioia ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati".

? La correzione ha lo scopo di mettere in guardia l'uomo dal prendere strade sbagliate, che lo porterebbero lontano dalla vera meta: la quale è tanto importante (è in gioco la vita eterna) da giustificare i sacrifici e le rinunce occorrenti a raggiungerla. Questo è il senso dell'invito del vangelo (Luca 13,22-30): "Sforzatevi di entrare per la porta stretta", altrimenti resterete fuori, né varrà vantare conoscenze e familiarità; anzi il padrone di casa dichiarerà: "Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!"

? La porta è stretta, ma l'interno è amplissimo e festosissimo. Come tante altre volte nell'Antico Testamento, anche Gesù paragona la vita con lui, nel suo regno, a un banchetto, cui parteciperanno persone d'ogni stirpe e d'ogni epoca. La precisazione sta nella risposta a un tale che gli aveva chiesto se sono tanti o pochi quelli che si salvano. Se l'interesse dell'interrogante era di carattere puramente statistico, Gesù deve averlo deluso, perché sui numeri non gli risponde; ne approfitta invece per offrirgli due insegnamenti. Il primo è sulle condizioni per salvarsi ("Sforzatevi di entrare per la porta stretta"); il secondo riguarda appunto l'universalità della salvezza. Già il profeta (prima lettura; Isaia 66,18-21) aveva annunciato quale parola di Dio: "Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria" e Gesù conferma: "Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio".

Conferma, con una precisazione: "Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi". Per capire queste parole, occorre ricordare che egli sta parlando a un ebreo, cioè a uno di quanti aspettavano un Messia tutto per loro, ritenendo che il Dio d'Israele non si curasse degli altri popoli. Ma non è così: gli ebrei ritenevano di essere gli unici chiamati, invece sono stati semplicemente i primi; dopo di loro, ultimi ma solo in ordine cronologico, vengono tutti gli altri popoli. Primi e ultimi, non per importanza o privilegio: tant'è vero che, spiega Gesù, qualcuno dei primi potrà risultare ultimo, e viceversa. L'ingresso nel Regno dipende non dalla razza o dal sesso o dal colore della pelle o dalla cultura e così via, ma unicamente dall'impegno ad entrare per quella porta che è per tutti stretta allo stesso modo.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Cuore, impegno e buona volontà

Che soltanto Israele potesse salvarsi, mentre l'umanità pagana e miscredente era destinata alla dannazione eterna, era comune concezione dell'antico popolo ebraico. Forse per questo lo sconosciuto individuo, che interpella Gesù che cammina verso Gerusalemme, gli pone questo quesito: "Sono pochi quelli che si salvano?" Tradotto in altri termini: "Quanti si salveranno, visto che non tutti sono Israeliti e anche nella stessa nazione non tutti conoscono e applicano la legge di Mosè?" La risposta di Gesù, come sempre, è lungimirante e non verte a soddisfare una semplice curiosità. Piuttosto espone un insegnamento rivoluzionario e per certi versi sovversivo, perché scardina la falsa idea che la salvezza sia destinata a un solo popolo circoscritto e che essa riguardi l'adempimento o meno di prescrizioni appositamente predisposte. Già i testo del profeta Isaia di cui alla Prima Lettura di oggi ci illustra che, nell'imperscrutabile progetto di Dio, la salvezza è destinata ai popoli di ogni nazione, lontani e vicini: "Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti. "

La volontà esplicita che il Signore esprime attraverso il profeta è quella per cui tutti i popoli della terra, dovunque si trovino, anche nelle isole e nelle zone più disparate e irraggiungibili, vengano raggiunti dal divino messaggio di salvezza, soprattutto le nazioni che non hanno mai udito parlare del Signore: proprio esse, benché lontane e di differente estrazione e cultura, sono destinatarie principali della salvezza. Dio fa anzi una promessa che avrà il suo compimento certo e definitivo nell'incarnazione del suo Figlio Gesù Cristo: in un solo popolo si radunerà l'umanità.

Anche fra i pagani quindi vi sono coloro che si salveranno anche prima degli Israeliti, perché Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità (1Tm 2, 3 - 4). Questo è lo scopo della rivelazione, cui Dio raggiunge l'uomo e questo è il messaggio dello stesso Dio che si è incarnato in Cristo: svelare a tutti gli uomini gli "arcana celorum", i misteri del Regno dei Cieli. Il problema allora non si pone in termini numerici o di quantità matematica, ma in termini di qualità. In un racconto parabolico specifico, Gesù insegnava che tutti sono invitati alla festa di nozze del Regno, chi non indossa l'abito nuziale, simbolo della purità e della perfezione morale, ne verrà espulso, perché tanti sono i chiamati, pochi gli eletti (Mt 20, 1 - 16). Ogni uomo viene messo in condizioni di amare Dio e il prossimo, ma a decidere di farlo o meno dev'essere lui stesso. Ogni uomo viene messo in condizione di esercitare umiltà e altre virtù, ma sta a lui decidere se cimentare la propria volontà in tal senso. Ogni persona umana è messa al corrente da Dio sulle decisione che le conviene intraprendere, ma la scelta spetta unicamente a noi. Siamo liberi di scegliere: amare o non amare? Credere o non credere? Vivere in coerenza e ottemperanza o persistere nel lassismo e nell'abitudinarietà perfida? Come si diceva la settimana scorsa il "tesoro del Regno dei Cieli immune dalla corrusione e dalla ruggine, è una questione di cuore: "dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore" e di conseguenza soltanto nella misura in cui ci si dispone liberamente e con amore a fare la volontà di Dio ci si salva. Solo chi nella deliberazione del cuore sceglie di amare e di servire, di sperare, di credere, di vivere e di progredire ottiene la salvezza e tante volte questo comporta una tappa sacrificata, la coraggiosa scelta dello sforzo nella virtù, l'impegno estenuante della croce nella perseveranza nei buoni propositi. Insomma, comporta che si passi per la porta stretta. Un antro ristretto e rasente solitamente lo si evita, soprattutto quando ce n'è un altro più comodo in alternativa, eppure non è difficile entrarvi e transitarvi. Occorre solamente sforzarsi e adoperare decisione e buona volontà. Passare per la "porta stretta" per quanto impegnativo non è impossibile e ciò che da parte nostra ci viene chiesto è appunto lo "sforzo", non il passaggio. A farci transitare sarà certamente l'aiuto stesso del Signore e la grazia con cui garantisce la sua continua assistenza e vicinanza. Sarà Dio stesso a spianarci il cammino per il passaggio, quello che conta è che ci adoperiamo diligentemente e con serietà d'impegno, evitando l'atteggiamento vile e deplorevole di coloro che fuggono di fronte agli ingressi angusti cercando portali e smisurati ingressi per raggiungere lo stesso obiettivo.

Nel luogo dove, durante l'estate trascorro la mia villeggiatura in famiglia, per raggiungere il mare partendo da casa occorre percorrere un tratto a piedi e per raggiungere la spiaggia tante volte ho percorso una strada vasta e spaziosa, che però mi faceva percorrere quasi mezzo miglio in più per giungere all'arenile. Mi sono accorto in una certa occasione che, in alternativa a questo lungo tragitto vi era, nascosto fra erbacce, canneti e vegetazione spontanea crescita a dismisura, un minutissimo passaggio cosparso di pietre, cocci di vetro abbandonati, spazzatura maleodorante e numerosi ceppi di sterpaglie pruriginose. Imboccando questo passo occorre prestare molta attenzione a non ferirsi e sgomitare fra la vegetazione selvatica, ma si raggiunge il mare quasi immediatamente, senza lunghi percorsi. L'ultima volta che lo imboccavo pensavo che tante volte le scorciatoie della nostra vita sono le più ardue e faticose, ma lo sforzo con cui ci si cimenta ad attraversarle è ripagato molto meglio che non quando si scelgono delle vie di comodo inconcludenti. Come nel caso della porta stretta di cui ci parla la liturgia di oggi: c'è molta più garanzia di successo nella scelta di transito per la porta stretta che non per una via vasta e larga che tante volte può condurre alla perdizione. Sforzarsi di entrare per la porta stretta è proprio di chi fa' una scelta di cuore, cioè di carità e di speranza la quale, per quanto sacrificata e impegnativa, ci conquista sempre il premio della vita e della comunione con Dio. E la salvezza definitiva.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 21 agosto 2016

tratto da www.lachiesa.it

 

Chiudi questa finestra