10 luglio 2016 - XV Domenica del Tempo Ordinario: Il Buon Samaritano e le azioni della misericordia

News del 09/07/2016 Torna all'elenco delle news

Una parabola che non mi stanco di ascoltare; un racconto che continuo ad amare perché generativo di umano, perché contiene il volto di Dio e la soluzione possibile dell'intero dramma dell'uomo.

Chi è il mio prossimo? È la domanda di partenza. La risposta di Gesù opera uno spostamento di senso (chi di questi tre si è fatto prossimo?) ne modifica radicalmente il concetto: tuo prossimo non è colui che tu fai entrare nell'orizzonte delle tue attenzioni, ma prossimo sei tu quando ti prendi cura di un uomo; non chi tu ami, ma tu quando ami.

Il verbo centrale della parabola, quello da cui sgorga ogni gesto successivo del samaritano è espresso con le parole "ne ebbe compassione". Che letteralmente nel vangelo di Luca indica l'essere preso alle viscere, come un morso, un crampo allo stomaco, uno spasmo, una ribellione, qualcosa che si muove dentro, e che è poi la sorgente da cui scaturisce la misericordia fattiva.

Compassione è provare dolore per il dolore dell'uomo, la misericordia è il curvarsi, il prendersi cura per guarirne le ferite. Nel vangelo di Luca "provare compassione" è un termine tecnico che indica una azione divina con la quale il Signore restituisce vita a chi non ce l'ha. Avere misericordia è l'azione umana che deriva da questo "sentimento divino".

I primi tre gesti del buon samaritano: vedere, fermarsi, toccare, tratteggiano le prime tre azioni della misericordia.

Vedere: vide e ne ebbe compassione. Vide le ferite, e si lasciò ferire dalle ferite di quell'uomo. Il mondo è un immenso pianto, e «Dio naviga in un fiume di lacrime» (Turoldo), invisibili a chi ha perduto gli occhi del cuore, come il sacerdote e il levita. Per Gesù invece guardare e amare erano la stessa cosa: lui è lo sguardo amante di Dio.

Fermarsi: interrompere la propria strada, i propri progetti, lasciare che sia l'altro a dettare l'agenda, fermarsi addosso alla vita che geme e chiama. Io ho fatto molto per questo mondo ogni volta che semplicemente sospendo la mia corsa per dire "grazie", per dire "eccomi".

Toccare: il samaritano si fa vicino, versa olio e vino, fascia le ferite dell'uomo, lo carica, lo porta. Toccare è parola dura per noi, convoca il corpo, ci mette alla prova. Non è spontaneo toccare il contagioso, l'infettivo, il piagato. Ma nel vangelo ogni volta che Gesù si commuove, si ferma e tocca. Mostrando che amare non è un fatto emotivo, ma un fatto di mani, di tatto, concreto, tangibile.

Il samaritano si prende cura dell'uomo ferito in modo addirittura esagerato. Ma proprio in questo eccesso, in questo dispendio, nell'agire in perdita e senza contare, in questo amore unilaterale e senza condizioni, diventa lieta, divina notizia per la terra.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Alla scoperta del vero buon samaritano

La parabola del buon samaritano, che si legge nel vangelo odierno (Luca 10,25-37), basta da sola a dire tutto sul precetto fondamentale dell'amore del prossimo. Gesù la racconta, in risposta alla domanda di un "dottore della Legge", cioè un esperto nell'interpretazione della Bibbia: so, Maestro, che cosa sta scritto; per ereditare la vita eterna bisogna amare Dio e il prossimo; ma chi sarebbe il prossimo?

? La risposta è in forma di racconto. "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico...": lungo la strada in discesa che attraversa il deserto della Giudea, tutto aride collinette rocciose, non era raro che i predoni assaltassero i viandanti. Gesù immagina appunto una loro vittima, derubato di tutto, percosso a sangue e abbandonato mezzo morto. Gli passano accanto, indifferenti, un sacerdote e poi un levita, due uomini delle categorie più rispettate nell'antico Israele, mentre un samaritano, cioè uno degli stranieri eretici che gli ebrei detestavano e dai quali si tenevano a distanza, proprio lui si ferma a prestargli soccorso: "Gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla propria cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno".

? Il racconto condensa in un esempio tutto quanto occorre tenere presente nei rapporti con coloro che entrano, stabilmente o occasionalmente, nella nostra vita. Sono loro "il prossimo", da amare non a chiacchiere ma con i fatti. Fatti concreti, commisurati non sulle nostre voglie, sui nostri umori del momento, ma sulle loro necessità. Fatti che impegnano la nostra attenzione e la nostra disponibilità, vale a dire la nostra intelligenza e il nostro cuore. Fatti: di fronte a un uomo ferito e abbandonato, il samaritano non si limita a buone parole di consolazione ma gli dedica il suo tempo, le sue cose (il vino per disinfettare, l'olio per lenire il male) e anche il suo denaro. Fatti, come quelli dei tanti (si contano a milioni solo in Italia) che dedicano il tempo libero al volontariato, o i tanti altri che sostengono con i loro soldi le organizzazioni di carità.

? Come altre volte a proposito dei detestati samaritani (la donna al pozzo cui Gesù rivela la propria divinità; il lebbroso che a differenza di quelli ebrei torna a ringraziare di essere stato guarito) anche qui Gesù assume un atteggiamento provocatorio: un samaritano è delineato migliore di due tra i più rispettabili ebrei. Sottinteso: spesso le persone non sono quelle che sembrano; giudicare per categorie (gli zingari, gli immigrati, gli omosessuali, gli ex carcerati, e chi più ne ha più ne metta) si basa su pre-giudizi che tante volte si rivelano privi di fondamento.?

Inoltre la parabola si presta ad una ulteriore lettura, presente già negli scritti degli antichi Padri della Chiesa: senza nulla togliere al suo valore di esempio per noi, essi vi hanno visto anche un significato più profondo. L'uomo che scende da Gerusalemme a Gerico rappresenta tutti gli uomini, per ciascuno dei quali la vita è una traversata del deserto; ciascuno è solo nel cammino attraverso il "deserto" di questo mondo, dove incontra dei briganti che colpiscono "dentro" (le esperienze negative, le delusioni, l'inquietudine motivata dalle cause più diverse) e talora colpiscono duro, lasciandoci psicologicamente e spiritualmente mezzi morti. Molti ci passano accanto senza prestarci aiuto, o perché non si accorgono delle nostre ferite, o perché sanno contrapporvi solo chiacchiere o, peggio, perché non gliene importa nulla. Ma uno c'è, che conosce minutamente lo stato di salute della nostra anima, la sa e la vuole curare. Quella del buon samaritano è una parabola autobiografica: il vero buon samaritano, attento e, se lo vogliamo, disponibile per ciascuno di noi, è lui. E non occorre dirne il nome.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

L'universalità dell'amore e del farsi prossimo

Al popolo d'Israele che sta per entrare nella nuova terra, dopo lunga schiavitù e lungo peregrinare nel deserto, Dio raccomanda di osservare i suoi comandamenti per poter vivere in pace nella nuova patria e nel nuovo soggiorno. Su questo infatti si fonda la felicità degli Israeliti: sull'osservanza dell'alleanza di Dio con loro, che è stata stipulata non perché Dio ne avesse necessità, ma perché loro, il popolo tante volte infedele e ostinato a deviare nella retta condotta, necessitavano di chiari orientamenti. L'alleanza comporta che Dio sarà sempre loro alleato e nulla farà mancare al suo popolo, ma che contemporaneamente questi si impegnerà ad osservare i suoi comandamenti e le sue prescrizioni. E i comandamenti di Dio in effetti non sono gravosi e seppure richiedano qualche impegno e qualche sacrificio, comporteranno sempre adeguata ricompensa e in ogni caso è necessario attenervisi per la vita. Il peccato è possibile a farsi perché in fondo è semplice e piacevole. I comandamenti sono impegnativi, ma non estenuanti e vertono sempre all'obiettivo dell'uomo. I comandamenti sono vari e ciascuno di essi ha un grado di gravità che lo distingue da tutti gli altri, ma ben sappiamo che è una sola la sintesi che li rende tutti quanti attuabili e comprensibili. Spiega infatti Paolo: "Chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti, il precetto:Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore» (Rm 13,8-10). Amare vuol dire osservare i comandamenti divini per intero e quando pure si incespichi per debolezza in una sola delle prescrizioni divine compensando questa con significativi atti d'amore, allora possiamo essere certi di averla compensata. La carità copre una moltitudine di peccati, ammonisce l'apostolo Pietro (1Pt 4, 8). Anche Gesù rivela, a questo dottore della legge che vuole metterlo alla prova, che la legge dell'amore è quella da sempre universalmente valida e immutabile: essa non avrà fine come non ha avuto inizio. Se Dio è Amore ed è eterno e infinito, così l'amore è la legge che vivrà in eterno. "La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità! (1Cor 13, 8. 13). Per questo Gesù risponde citando il Grande Comandamento dell'Antico Testamento in Deuteronomio 6, 5: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze." Un altro, che si lega a questo, viene descritto da Gesù come complementare: "e (amerai) il prossimo tuo come te stesso. Saper amare se stessi ancor prima di esternare amore verso gli altri è approvato anche da parecchie correnti psicologiche, mediche e letterarie al di fuori della cultura cristiana e del resto è anche vero che occorre disporre di una serenità personale, buona predisposizione d''animo e appropriate qualità di fondo anche fisiche oltre che morali per suscitare affidabilità in coloro che ci avvicinano. Coltivare il proprio spirito con la cultura, la riflessione e la preghiera, il proprio corpo con una sana alimentazione e appropriate cure mediche e attività sportive sono risorse tante volte indispensabili per saperci rapportare adeguatamente con gli altri e aver cura della propria persona è all'origine dell'altruismo e della generosità. Coltivare l'ottimismo (non eccessivo) personale infonde fiducia e sicurezza che reca a noi stessi delle soddisfazioni che si rivelano utili ed esaltanti anche per chi ci sta attorno. Tuttavia questo non è ancora sufficiente se non consideriamo che l'amore verso gli altri è "da Dio" e che solo in Colui che ci ama disinteressatamente possiamo trovare lo sprone ad amarci vicendevolmente per estendere il nostro amore anche ai nostri nemici. Gesù invita il suo interlocutore a guardare all'amore con maggiore profondità senza lasciarsi tentare dal lassismo e dalla semplicità e pochezza che a volte può caratterizzarci. Egli infatti esclamerà in'altra occasione: ""Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati" (Gv 15, 12), invitando i suoi discepoli a restare nel suo amore osservando i suoi comandamenti per recare molto frutto perenne (vv. 10 - 16). Ribadisce che è indispensabile l'amore verso se stessi e allarga anche il concetto di "prossimo" dandovi un'interpretazione vasta e diffusa, che supera le categorie ristrette del suo tempo.

Nell'ambiente giudaico "prossimo" oggetto esclusivo di amore e di attenzione era infatti il connazionale, il vicino, l'amico (Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico); in Gesù invece il concetto di "prossimo" si estende all'umanità intera e anzi invita anche "me" a rendermi prossimo dell'altro: io, che ho davanti a me un avversario, un nemico, un interlocutore con cui interagire, sono chiamato a "farmi prossimo", cioè ad avvicinarmi a lui senza pregiudizi e limitazioni, in ogni occasione e soprattutto nelle situazioni di bisogno e di necessità. Chiunque può "farsi prossimo", cioè donarsi agli altri indistintamente senza ritrosie o pregiudizi.

Il che è presto delineato dalla famosissima parabola che ha interessato anche le menti di sottoili ragionatori laici e non credenti: a differenza di un levita e di un sacerdote (addetti alla cura del tempio e del culto del Dio altissimo), un passante Samaritano prova compassione e amore nei confronti di questo sventurato che sanguina riverso sulla strada dopo l'incontro con i malviventi. Non considera le possibili reazioni di pregiudizio della gente del posto, ostile alla terra di Samaria, ritenuta impura e repellente; non considera neppure che egli stesso, secondo formazione ricevuta, dovrebbe addirittura lasciar morire per la strada il malcapitato in preda alle ferite e ai dolori. Nella concezione culturale di cui fa'parte, sarebbe stato legittimo usare riluttanza e indifferenza di fronte ad un Galileo sofferente. E invece "si rende prossimo" di questo pover' uomo ferito provvedendo a tutti i particolari per un soccorso efficace e congeniale: si china su di lui, lo cura, lo assiste, lo conduce in albergo disposto perfino ad indebitarsi con il locandiere pur di ottenere adeguata ospitalità per il meschino malcapitato. Prossimo significa "vicino", immediato e concretamente presente ed esclude che questo comporti distinzioni sociali e pregiudizi. Nell'esercizio dell'amore tutti quanti siamo chiamati a "farci prossimi" degli altri, superando barriere e pregiudizi etnici e culturali. Nella rinnovata concezione di "prossimo" che Gesù insegna ci viene ribadita l'universalità dell'amore ma anche l'universalità dell'attuazione dell'amore e ogni monito raggiunge ciascuno più da vicino. Come si diceva prima, nessun comandamento è gravoso ed è anche apportatore di soddisfazione e di serenità, ma proprio liberarci dai pregiudizi e dalle illazioni che ci dischiudono (ancora oggi) la possibilità di vedere negli altri noi stessi ci infonde fiducia e serenità congeniale per cui noi possiamo amare tutti come noi stessi, anche i nostri nemici.

Oggigiorno si spara sulle folle massacrando vittime innocenti in nome di un presunto Dio che imporrebbe a tutti un solo testo sacro; si seminano odio, orrore e violenza per una concezione religiosa per la quale è necessario selezionare persone da salvare e persone da distruggere barbaramente e questo è in realtà contrario anche alla logica umana medesima. Come si può vivere tranquilli dopo aver usato tanta efferatezza? Noi vantiamo invece un Dio Amore Crocifisso che si è fatto prossimo per salvare tutti gli uomini indistintamente e per insegnarci che l'amore non ha limiti e anche noi dobbiamo farci prossimi nel rispetto delle culture e delle religioni altrui.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 10 luglio 2016