3 luglio 2016 - XIV Domenica del Tempo Ordinario: Mandati da Cristo
News del 02/07/2016 Torna all'elenco delle news
Andate: ecco vi mando! Sta in questa parola del Maestro la forza dei discepoli: dodici e settantadue e poi tutti coloro che lo seguiranno. Noi siamo dei mandati: ecco la nostra identità più vera. Mandati da Lui a portare Lui. Senza borsa, né sacca, né sandali: solo con la forza di chi manda. Mandati a portare un messaggio che non è nostro, ma che noi dobbiamo accogliere per primi; mandati a donare senza misura ciò che abbiamo ricevuto gratuitamente. Mandati e... portati in braccio, e accarezzati sulle ginocchia e consolati a Gerusalemme. Ecco chi siamo: dei mandati a portare l'annuncio del Regno, avendo come unico vanto la croce del Signore.
Omelia di mons. Giuseppe Giudice
Non la forza ma un "di più" di bene per opporci al male
La messe è abbondante, ma sono pochi quelli che vi lavorano. Gesù semina occhi nuovi per leggere il mondo: la terra matura continuamente spighe di buonissimo grano. Insegna uno sguardo nuovo sull'uomo di sempre: esso è come un campo fertile, lieto di frutti abbondanti.
Noi abbiamo sempre interpretato questo brano come un lamento sulla scarsità di vocazioni sacerdotali o religiose. Ma Gesù dice intona la sua lode per l'umanità: il mondo è buono. C'è tanto bene sulla terra, tanto buon grano. Il seminatore ha seminato buon seme nei cuori degli uomini: molti di essi vivono una vita buona, tanti cuori inquieti cercano solo un piccolo spiraglio per aprirsi verso la luce, tanti dolori solitari attendono una carezza per sbocciare alla fiducia.
Gesù manda discepoli, ma non a intonare lamenti sopra un mondo distratto e lontano, bensì ad annunciare un capovolgimento: il Regno di Dio si è fatto vicino, Dio è vicino.
Guardati attorno, il mondo che a noi sembra avvitato in una crisi senza uscita, è anche un immenso laboratorio di idee nuove, di progetti, esperienze di giustizia e pace. Questo mondo porta un altro mondo nel grembo, che cresce verso più consapevolezza, più libertà, più amore e più cura verso il creato. Di tutto questo lui ha gettato il seme, nessuno lo potrà sradicare dalla terra.
Manca però qualcosa, manca chi lavori al buono di oggi. Mancano operai del bello, mietitori del buono, contadini che sappiano far crescere i germogli di un mondo più giusto, di una mentalità più positiva, più umana. A questi lui dice: Andate: non portate borsa né sacca né sandali... Vi mando disarmati. Decisivi non sono i mezzi, decisive non sono le cose. Solo se l'annunciatore sarà infinitamente piccolo, l'annuncio sarà infinitamente grande (G. Vannucci).
I messaggeri vengono portando un pezzetto di Dio in sé. Se hanno Vangelo dentro lo irradieranno tutto attorno a loro. Per questo non hanno bisogno di cose.
Non hanno nulla da dimostrare, hanno da mostrare il Regno iniziato, Dio dentro. Come non ha nulla da dimostrare una donna incinta: ha un bambino in sé ed è evidente a tutti che vive due vite, che porta una vita nuova. Così accade per il credente: egli vive due vite, nella sua porta la vita di Dio.
Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. E non vuol dire: vi mando al macello. Perché ci sono i lupi, è vero, ma non vinceranno. Forse sono più numerosi degli agnelli, ma non sono più forti. Vi mando come presenza disarmata, a combattere la violenza, ad opporvi al male, non attraverso un "di più" di forza, ma con un "di più" di bontà. La bontà che non è soltanto la risposta al male, ma è anche la risposta al non-senso della vita (P. Ricoeur).
Omelia di padre Ermes Ronchi
Fede in Colui che ci manda e che ci guida
Si riprende il discorso della vocazione divina. Decisione, libertà, responsabilità e abnegazione sono ancora una volta le prerogative che è tenuto a dimostrare chi risponde alla chiamata, chi aderisce al progetto di Dio e vuole spendere la propria vita per il Regno e sono concetti che Gesù ribadisce per implicito con molta perentorietà, poiché chiede anche ai settantadue discepoli di mostrare coraggio determinazione, costanza e perseveranza, per occuparsi nient'altro che del Regno di Dio di cui sono messaggeri. Tali risorse di coraggio e di abnegazione devono essere tante e tali da non suscitare preoccupazione alcuna quanto al proprio sostentamento e alle necessità materiali: "Non portate né sacca né sandali... Restate in quella casa mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa." Ma qual è lo scopo esatto dei settantadue discepoli, scelti per un servizio missionario temporaneo? Effettivamente è quello della testimonianza. Essi sono chiamati ad annunciare il Regno, innanzitutto con l'esemplarità di una vita semplice e dimessa, capace di raccontare essa stessa ciò di cui Dio è capace. La loro presenza, il tatto, il modo di porsi e soprattutto il loro essere inviati due per volta sottolineano come sia importante essere testimoni in prima persona delle parole di cui si è latori agli altri. Del resto, la stessa Scrittura (Dt 19, 14 - 15) indica che qualsiasi testimonianza è veritiera e attendibile alla presenza di almeno due persone attentatrici e quindi testimoniare il Regno di Dio essendo in due è più proficuo di quando lo si fa da soli. E quante soddisfazioni procura l'evangelizzazione recata dalla sola testimonianza di vita! Quanti copiosi frutti di fecondità apostolica si conseguono tutte le volte che il Vangelo, prima ancora che predicato, viene vissuto in prima persona. Vi è infatti molto più successo pastorale in coloro che semplicemente vivono piuttosto che in coloro che parlano a lungo senza aver niente da dire se non se stessi. Non per niente i settantadue esultano meravigliati constatando che perfino i demoni si sottomettono a loro nel nome di Gesù Cristo: il Signore ha dato loro poteri a dismisura, ha concesso loro privilegi anche fra i più insoliti e impensabili (camminare su serpenti e scorpioni) ma quello che ha inculcato in questi missionari è soprattutto la sensibilità pastorale verso i poveri e gli ammalati che è la prova del nove dell'essere testimoni del Vangelo. Quando tutto questo si realizza nella vita del missionario, le soddisfazioni e le ricompense subentrano in automatico, perché in tal caso se anche si viene respinti dagli uomini si è sempre approvati da Dio.
Del resto, proprio di esemplarità e di testimonianza necessita l'annuncio del Regno di Dio. Esso si caratterizza in una dimensione di pace, di giustizia, uguaglianza e predilezione per i poveri e per i sofferenti, apportata dalle parole e dalle opere del Figlio di Dio fatto uomo, di conseguenza il suo annuncio ha un'incidenza maggiore per messo della coerenza della vita. Il Regno di Dio, come afferma Paolo "non è questione di cibo o di bevanda" e non racchiude affatto imperativi di sprezzante mondanità: esso è descritto con le fascinose immagini di cui alla Prima Lettura di oggi (Isaia) "la pantera che si sdraia accanto al capretto...) che esaltano la novità della vita che il Risorto che Dio viene a donarci nel suo Figlio Risorto. Solo chi incarna questa realtà e la fa propria può esserne latore a tutti gli altri.
Gesù in ogni caso non garantisce il buon esito della missione né il successo del nostro ministero sempre e in ogni caso. E' nel computo di chi annuncia infatti essere esposti ad ogni sorta di avversione e di secco diniego dei nostri interlocutori. In ogni ministero svolto nel nome e per mandato del Signore, occorre quindi agire, mostrare interesse e impegno, ma non pretendere di riscuotere successi in ogni luogo perché i risultati appartengono solo al Padrone nonché Arbitro della storia e del nostro mondo. Noi siamo solo degli strumenti. Oltretutto, se il Signore prevede che non sempre gli esiti siano positivi, evidentemente ciò avviene perché noi consideriamo che appunto è Lui solo artefice della salvezza e che da parte nostra si deve mostrare umiltà.
Ma non abbiamo ancora riflettuto sull'elemento indispensabile necessario affinché l'annuncio di salvezza sia davvero gradito a Dio e confacente alle sue aspettative e questo risiede nella prima frase del brano evangelico odierno: "Pregate il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe..." Perché Gesù invita proprio i destinatari dell'annuncio a pregare perché mandi annunciatori del messaggio salvifico alle moltitudini? Come mai non provvede egli stesso ad incrementare il numero dei discepoli missionari, che da 72 potrebbero benissimo diventare anche 200? Evidentemente perché prima di ogni cosa richiede che siano gli stessi annunciatori ad avvertire la necessità del problema della "messe" di Dio; che si rendano essi stessi compartecipi della realtà che il popolo necessita di annunciatori, dal momento che "la fede deriva dall'annuncio" (Paolo); ma soprattutto che considerino che il dono dei ministri è esclusiva del solo Signore e non dipende da alcuna sollecitudine né iniziativa da parte degli uomini. In una parola Dio vuole che il latore di un messaggio edifichi innanzitutto se stesso prima di partire e queste sono le tappe attraverso cui questo è possibile a realizzarsi.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Oggi Gesù ci invita ad essere missionari: 72 erano le nazioni conosciute allora, quindi è come dire che l'annuncio va portato a tutte le nazioni.
E' importante provare a parlare di ciò in cui credo anzitutto per me stesso. E' il modo migliore che ho per chiarirmi le idee, perché io so veramente solo ciò che so spiegare, ma attenzione: Gesù non mi chiede di dimostrare né la sua esistenza né il suo amore. Dio non ha bisogno di essere difeso da me. Sa lui come rendersi credibile. Mi chiede solo di testimoniare, cioè di raccontare la mia esperienza di Lui, perché questo potrebbe accendere in qualcuno una scintilla di speranza o di curiosità.
Facciamo un esempio per capire meglio. Io non posso dire ad un mio amico: "Guarda che la tale ti vuole bene" e dimostrarglielo. Posso solo dirglielo. Spetterà poi a lui manifestare un interesse per lei, per vedere se ho detto il vero. Così è dell'amore di Dio: non sta a me dimostrarlo. La fatica dell'annuncio spesso è tutta qui: io non annuncio perché non posso dimostrare ciò che dico, e questo ferisce il mio amor proprio. Preferisco provare a dimostrare che Dio esiste e ci vuole bene cercando di essere buono e coerente io, ma questo può convincere l'altro solo del fatto che io sono buono e coerente.
Dio non ha bisogno di me come avvocato difensore, mi invita solo a parlare di Lui. C'è qualche cosa nel Vangelo che mi aiuta e che ho sperimentato vero per me? Ho incontrato il Signore? Se sì, è bello raccontarlo. Io posso dire che mi ha cambiato la vita e continua ad aiutarmi molto.
Ma mi piace molto anche la proposta di scuotere la polvere delle scarpe, a testimonianza per loro, quando sperimento un rifiuto. Cosa significa? E' il gesto che facevano quando entravano in terra santa, per non contaminarla con la terra pagana.
Per me è un invito a scrollarmi di dosso il male che ricevo quando faccio l'esperienza di essere rifiutato o di vedere rifiutato il Vangelo; non nel senso di dire che non me ne importa niente, ma nel senso di liberarmi ti tutto ciò che può rattristarmi, che suscita in me rancore, violenza, risentimento; di tutti i ragionamenti che mi impediscono di rispettare la scelta dell'altro e di dargli una nuova opportunità.
Si tratta di testimoniare il fatto che non voglio portare il fratello all'incontro con il Signore o alle mie convinzioni per forza. Si tratta di rimanere positivi, rispettando l'altro e amandolo cosi come me lo sta chiedendo in quel momento; come Gesù che ha accettato di amare e rispettare quelli che lo hanno rifiutato. Questo ci rende immensamente liberi, uomini veri e sempre pronti a ri-aiutare l'altro a scoprire il Signore, nella sua vita.
Gesù conclude dicendo che vedeva satana cadere dal cielo, segno che il bene può vincere anche oggi e che vale la pena continuare ad annunciare il Vangelo perché c'è un bisogno di pace e di speranza al quale Gesù da una risposta.
Preghiamo perché la messe è molta, e solo pregando mi chiarisco le idee tanto da poter essere mandato a testimoniare il suo amore.
Omelia di padre Paul Devreux
Liturgia e Liturgia della Parola della XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 3 luglio 2016
tratto da www.lachiesa.it