25 giugno 2016: La Celebrazione di ammissione agli Ordini Sacri in Cattedrale
News del 25/06/2016 Torna all'elenco delle news
La comunità diocesana si è ritrovata sabato 25 giugno in Cattedrale per vivere la Celebrazione, presieduta dall’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini, di ammissione ufficiale all’Ordine Sacro del Diaconato: uno di quei momenti di grazia che, insieme alle consacrazione sacerdotali, le consacrazioni diaconali, il conferimento dei ministeri, manifestano in essa l’azione fruttuosa della trasmissione della fede che fa fiorire le diverse vocazioni. Come ha voluto sottolineare l’arcivescovo introducendo la Celebrazione, questa è una di quelle occasioni in cui la comunità “gioisce e vede l’azione dello Spirito che chiama, suscita e invia, e dice grazie perché ci aiuta, ci assiste ancora, ci dà energie nuove per poter intensificare il cammino di fede”. “Sono felice - egli ha aggiunto – perché a conclusione dell’anno pastorale dedicato alla trasmissione della fede, cinque nuovi membri della nostra comunità chiedono di poter guardare verso il diaconato: ringraziamo lo Spirito che ha suscitato la vocazione nel cuore dei nostri fratelli mediante l’opera dei sacerdoti”. Ad accompagnare i cinque candidati al diaconato permanente: Antonio Cama della Parrocchia "S. Maria della Misericordia" di Salice, Giovanni Bellantone della Parrocchia "S. M. Immacolata" di Scilla, Nino Quaresima della Parrocchia "Maria SS. Assunta in cielo" della Basilica Cattedrale, Vittorio Stillitano della Parrocchia "S. Maria del Carmelo" di Archi, Nunzio Di Stefano della Parrocchia "S. Giovanni Nepomuceno e S. Filippo Neri" di Arangea, c’erano infatti i rispettivi parroci don Simone Gatto, don Francesco Cuzzocrea, don Gianni Polimeni, padre Aldo Domenico Bolis, don Piero Catalano con il vicario zonale don Nicola Casuscelli. Essi hanno portato l’abbraccio delle parrocchie nelle quali i futuri diaconi stanno seguendo il cammino di formazione ed hanno concelebrato insieme ai canonici mons. Mimmo Martorano e mons. Antonino Iachino. Visibilmente commossi, gli aspiranti diaconi si sono presentati dinanzi al vescovo anche con il sostegno delle famiglie, ed in particolare per alcuni, delle mogli, senza il consenso delle quali il percorso del diaconato non sarebbe possibile “perché – come ha fatto notare l’arcivescovo –nel sacramento del matrimonio hanno legato ad esse la loro libertà. Adesso che hanno scoperto un nuovo modo di essere nella chiesa, non è sufficiente la loro decisione” ma questa ulteriore vocazione va anch’essa condivisa.
Vocazione e libertà: questi due temi si sono intrecciati nell’omelia dell’arcivescovo, partendo dagli spunti offerti dai brani della Liturgia molto bene adatti alla circostanza. “La vita è vocazione: non solo il diaconato o il presbiterato o la vita religiosa. E ciascuno all’interno della propria esperienza quotidiana deve scorgere i segni di Dio. Quali sono? E’ la vita che ce li offre”. Come per Mosè il roveto ardente, il mantello di Elia per Eliseo, la chiamata dei primi due apostoli, “dobbiamo scorgere i segni di Dio all’interno della nostra vita, essi non sono precostituiti, non sono scelti da noi. E’ la fede che ci fa guardare all’interno di queste esperienze di vita per capire cosa Dio ci chiede. Dio chiama, secondo quelle missioni che vuole affidare, secondo quei cammini all’interno della vita della Chiesa che vuol far percorrerre, e chiama in tanti modi”. All’interno del proprio cammino di vita e del proprio percorso di fede ognuno legge i propri segni.
“E’ su questa domanda – e qui l’arcivescovo si è rivolto in particolare ai giovani - che bisogna Impostare la propria vita: Dio cosa mi chiede?“ perché qui entra in gioco la libertà: “Dio chiama ma l’incontro con Dio è sempre legato alla libertà dell’uomo. La grande disponibilità nella fede è capire ciò che Dio chiede e dire sì o no. E mettere in conto che, se la proposta di Dio è sempre il bene per noi, spesso il rifiuto può voler dire creare le condizioni per la propria infelicità”.
“Quando mettiamo in gioco la nostra libertà - chiarisce l’arcivescovo – il dono deve essere totale. Il Signore ci vuole di una sola parola, o con me o contro di me, diversamente da quanto ci sta abituando a fare la cultura di oggi, una cultura del provvisorio “che mette davanti a noi un modo di pensare sbagliato che evita il definitivo, causando l’attuale crisi vocazionale anche nel matrimonio per la paura del sì per tutta la vita”.
E’ possibile, invece, mettere in gioco la propria libertà oggi per tutta la vita? “Sì - ribadisce l’arcivescovo - se al centro della nostra vita mettiamo Gesù Cristo”. E si congeda dall’assemblea con un invito forte e chiaro che racchiude tutto: “Accogliamo la vita come chiamata, all’interno della vita scopriamo i segni che Dio ci dona, mettiamo in gioco la nostra libertà davanti a Dio e che questa libertà sia piena, totale, avendo fiducia che se giochiamo tutta la nostra vita su Gesù, possiamo essere fedeli sempre e non rimanere delusi”.