L'Icona dei Taxiarchi: il racconto di un'esperienza di Bellezza

News del 06/05/2016 Torna all'elenco delle news

La presentazione del catalogo della Mostra "L'Icona svelata" è stata un'occasione, all'interno della programmazione di eventi che accompagna la Mostra stessa, per una lettura del'icona in termini di memoria storica, preghiera e contemplazione, offerta dal prof. Domenico Minuto.

Dalla Relazione del prof. Domenico Minuto:

"Come ci dice sapientemente ed autorevolmente padre Daniele Castrizio, l’icona rappresenta la Sinassi dei Taxiarchi, i quali portano nella sfera il Cristo raffigurato come la Santa Sapienza. I taxiarchi sono i condottieri degli eserciti e in questo caso si tratta delle schiere angeliche guidate da Michele e da Gabriele. Il termine “sinassi” indica una celebrazione liturgica e quella dedicata ai due condottieri angelici cade l’8 novembre con il titolo: “Sinassi degli Arcangeli Michele e Gabriele e delle altre potenze incorporee e celesti” (non solo, dunque, i due arcangeli, che li rappresentano tutti). Nel giorno della loro festa si cantano tante belle preghiere che ci aiutano a contemplare la nostra icona con particolare fervore del cuore. Ne ricordo due: Di fuoco è il tuo aspetto, meravigliosa la tua bellezza, o Michele, primo degli angeli: con la tua immateriale natura attraversi i confini della terra per compiere i comandi del Creatore dell’universo, e sei noto per la potenza della tua forza, tu che rendi fonte di guarigioni il tuo tempio, che si onora del tuo santo nome. E per Gabriele: Stando presso il trono della Deità trisolare, copiosamente illuminato dai divini fulgori da essa incessantemente emessa, libera dalla caligine delle passioni e rischiara con l’illuminazione coloro che sulla terra con gioia si uniscono in coro e ti celebrano, o Gabriele condottiero supremo, intercessore per le anime nostre.

E tuttavia, spingendo ancora oltre la mia temerarietà e senza mettere in discussione la dottrina di padre Daniele, io sento il bisogno di contemplare nell’icona un altro momento liturgico, che si compie tutte le volte che viene celebrata la Divina Liturgia: la processione che porta le sacre offerte all’altare di Dio. Essa corrisponde all’Offertorio della Messa latina, ma viene celebrata con molta più solennità, che sottolinea il cammino di Gesù verso la sua offerta nel Calvario. Quanto sia stato doloroso quel cammino e quale disonore gli uomini abbiano cercato di dare al Figlio di Dio, è una realtà ben presente nel cuore di tutti i Cristiani. Nella cerimonia liturgica, però, quella realtà è contemplata nella sua dimensione soprannaturale, che ci presenta Cristo come sacerdote, vittima e sacrificio divino; essa, pertanto, è una operazione gloriosa e tale ci viene offerta nella Divina Liturgia: non nel senso dell’esaltazione a guisa di fanfara, ma come efficace e lieta presenza di Dio. Dopo la liturgia della Parola, il celebrante, prima di recarsi assieme al diacono al piccolo altare dove ha già preparato le sacre offerte, recita fra l’altro questa solenne preghiera a bassa voce: Nessuno che sia schiavo di desideri e di passioni carnali è degno di presentarsi o di avvicinarsi o di offrire sacrifici a Te, Re della gloria, poiché il servire Te è cosa grande e tremenda anche per le stesse Potenze celesti. Tuttavia, per l’ineffabile e immenso tuo amore per gli uomini, ti sei fatto uomo senza alcun mutamento e sei stato costituito nostro sommo Sacerdote e , quale Signore dell’universo, ci hai affidato il ministero di questo liturgico ed incruento sacrificio. Tu solo, infatti, o Signore Dio nostro, imperi sovrano sulle creature celesti e terrestri, tu che siedi su un trono di Cherubini, tu che sei Signore dei Serafini e Re di Israele, tu che solo sei santo e dimori nel santuario. Supplico dunque te, che solo sei buono e pronto ad esaudire: volgi il tuo sguardo su di me peccatore ed inutile tuo servo, e purifica la mia anima e il mio cuore da una coscienza cattiva; e, per la potenza del tuo Santo Spirito, fa che io, rivestito della grazia del sacerdozio, possa stare dinanzi a questa tua sacra mensa e consacrare il tuo corpo santo ed immacolato e il sangue tuo prezioso. A te mi appresso, inchino il capo e ti prego: non distogliere da me il tuo volto e non mi respingere dal numero dei tuoi servi, ma concedi che io, peccatore e indegno tuo servo, ti offra questi doni. Tu infatti, o Cristo Dio nostro, sei l’offerente e l’offerto, sei colui che riceve i doni e che in dono ti dai, e noi ti rendiamo gloria insieme con il tuo Padre senza principio e il santissimo, buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen. E dopo che il celebrante con grande solennità ha preso le sacre offerte coperte da un velo e processionalmente le ha portate davanti all’altare preceduto dal diacono, che rappresenta l’Angelo, egli, sollevando le offerte e mostrandole al popolo, canta: Il Signore Dio si ricordi di tutti noi nel suo regno in ogni tempo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen. Mentre il sacerdote recita la solenne preghiera a bassa voce e poi, dopo che ha invocato il ricordo del Signore, i fedeli cantano: Noi che misticamente raffiguriamo i Cherubini e alla Trinità vivificante cantiamo l’inno del tre volte Santo, deponiamo ogni mondana preoccupazione, affinché possiamo accogliere il Re dell’universo, scortato invisibilmente dalle angeliche schiere. Alleluia, alleluia, alleluia. Questa cerimonia sacra io contemplo guardando l’icona degli Angeli.

Essi sorreggono il Cristo, come ci indicano le loro quattro e quattro piccole dita (i pollici sono nascosti), sono la sua vivente lettiga. Le minuscole dimensioni del Signore, invece di impedire, sollecitano l’emozione di contemplarlo come il Sovrano che è al centro di tutto il creato. È la stessa visione che rapì Dante in procinto di entrare nel cielo empireo: un punto vidi –egli ci dice- che raggiava lume / acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca / chiuder conviensi per lo forte acume (Par. XXVIII, 16-18). Nell’icona noi possiamo guardarlo senza chiudere gli occhi, perché è velato dalla sostanza trasparente della sfera. Gli angeli, invece, per riverenza non guardano il Sovrano, ma i loro occhi sono rivolti in avanti, agendo come i quattro esseri viventi che comparvero in visione ad Ezechiele e ciascuno andava dritto avanti a sé (Ezechiele 1. 9). Anche i due angeli vanno, ma il loro cammino, processionale, è fisicamente immobile; essi procedono dentro la nostra contemplazione e pervadono, con il loro e nostro Signore, tutto il creato, mentre il Cristo si reca a compiere il suo prezioso sacrificio perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nei cieli sulla terra e sotto terra e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre (Filippesi 2. 10-11). Il loro solenne abbigliamento infonde una piena riverenza, suggerita anche dalla rigida, fisicamente impossibile, piegatura dei nastrini dietro la loro nuca. Tutto, nell’icona, rispecchia la realtà fisica nella quale viviamo su questa terra, ma non la imita, bensì la trascende: come le lance degli angeli, sottili e allungate nella forma di una linea retta, senza punta e con una piccola croce che ne indica la dignità, non di armi, ma di divisa. Il mondo che ci circonda, restando realtà fisica, diventa nell’icona segno di una dimensione infinita nella quale siamo invitati ad immergerci in un silenzio che non è assenza di linguaggio, ma trasvalutazione. La terra c’è, ma è stata rinnovata dalla divina incarnazione. Chi ha gli occhi legati alla sola dimensione terrena, non riesce ad immergersi nell’infinito dell’icona. Ma esso è presente davanti a noi, ci invita, con silenziosa eloquenza, a sollevare la nostra speranza oltre la vita presente, martoriata dalla morte e dal male: Vi ho detto queste cose –dice Gesù agli apostoli durante la mistica cena- perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo (Giovanni 16. 33). Così l’icona ci aiuta a pregare, sostiene la nostra fede, dona argomento alla nostra speranza, ci conforta con la presenza soprannaturale degli angeli, alla cui custodia è affidata la nostra persona. È bella, assai bella".

Domenico Minuto, 6 maggio 2016