24 aprile 2016 - V Domenica di Pasqua: il testamento dell'Amore

News del 23/04/2016 Torna all'elenco delle news

Nel momento del tradimento, Gesù scopre la sua gloria. E' un Vangelo che inizia in modo incredibile. Quando Giuda prende il boccone ed esce nel buio della notte, Gesù raggiunge il massimo della sua gloria. E' il momento in cui Gesù si dona totalmente al Padre, sapendo che la morte è ormai imminente, ma sperimentando la libertà vera. Non può fare nessun calcolo, ma solo affidarsi a Dio. Vede davanti a lui la prospettiva della morte cruenta, non si oppone, anzi la affronta, la accetta in un dono incondizionato di amore. La sua vita, che è stata amore, ora raggiunge l'Amore puro, la donazione totale.

In questa vigilia della sua morte, lascia ai discepoli il testamento decisivo per vivere. Dona un comandamento nuovo: amare come, o meglio, perché Lui ci ha amati. L'Amore di Dio è ciò che ci caratterizza come credenti al di là di ogni tradimento che possiamo subire.

Ma come Gesù ci ama? Qual è lo stile del suo incontro di amore per noi? Gesù ci ama fissandoci negli occhi e considerandoci suoi amici. Ci ama per quello che siamo, confida in noi, ci dona fiducia, ci guarisce dalle nostre malattie spirituali, dalle ferite che la vita ci ha offerto. Ama me perché mi considera unico, ama i miei pregi, ma anche i miei limiti che sono grandi. Ama ciò che sono, ama il profumo della vita. Nel dono totale di sé sulla croce, Gesù raggiunge l'amore allo stato puro, ma anche ci fa capire che la vita è dono. E' spendersi per Lui, è fare della vita un dono gioioso.

Quanta fatica oggi ad amare!!! In una società piena di calcoli, quando trovi una persona che ti ama per quello che sei, allora ne esci sconvolto, perché non sai se possano ancora esistere persone così. Capaci di vivere come Gesù. Eppure esistono.

Sentirsi amati! Quante persone ho visto perdersi perché pensavano che l'amore fosse associato alla ricchezza, al potere, alla fama, all'importanza, all'avere tutto e subito. Quante persone si atteggiano in tale modo, alla continua ricerca della persona giusta che possa risolvere tutti i problemi perché potente. E questi potenti che sono circondati da centinaia di persone solo per interesse!! Quando il potere cade, i presunti amici scompaiono tutti.

Gesù punta all'opposto, all'amore bello perché gratuito. Apriamo gli occhi per scoprire vicino a noi pozzi di amore. Per fare questo, però, ci accorgiamo che dobbiamo tornare ai piccoli gruppi, alle comunità cristiane come erano alle origini. Persone che radunandosi in casa, alla luce del Vangelo, sentivano una unità profonda e testimoniavano a vicenda le meraviglie che Dio operava in loro. Nasce il bisogno profondo di una carità che sia espressione di un Vangelo vivo.

Gesù ci offre un comando nuovo perché la nostra vita sia una grande esperienza di amore. Un amore che sperimenta la sofferenza e il tradimento, ma che dona la vera libertà. Il testamento della gioia.

Omelia di don Luigi Trapelli

 

Amare l'altro con lo 'stile' di Gesù

Vi do un comanda­mento nuovo, che vi amiate gli uni gli al­tri.

Sì, ma di quale amore? Parola così abusata, parola che a pronunciarla male brucia le labbra, dicevano i rabbini. Noi confondiamo spesso l'amore con un'emo­zione o un'elemosina, con un gesto di solidarietà o un momento di condivisione.

Amare sovrasta tutto questo, perché contiene il brivido e­mozionante della scoperta dell'altro, che ti appare non più come un oggetto ma co­me un evento, come colui che ti dà il gusto del vivere, che spalanca sogni, che ha la forza dolce delle nascite, che ti fa nascere, con il me­glio di te. Per amare devo guardare u­na persona con gli occhi di Dio, quando adotto il suo sguardo luminoso divento capace di scoprirne tutta la bellezza e grandezza e uni­cità. E da questo si sprigiona fervore, meraviglia, incanto del vivere. Io vado dall'altro come ad una fonte, e mi dis­seta. Allora lo posso amare, e nell'amore l'altro diventa il mio maestro, colui che mi fa camminare per nuovi sen­tieri. Allo stesso modo anche i due sposi devono amarsi come due maestri, ciascuno maestro dell'altro, ciascuno messo in cammino verso o­rizzonti più grandi. Lasciar­si abitare dalle ricchezze del­­l'altro, e la vita diventa im­mensamente più felice e li­bera. Allo stesso modo an­che il povero che incontro o lo straniero che bussa alla mia porta li posso guardare come fossero i «nostri si­gnori» (san Vincenzo de Pao­lis), e imparare quindi a da­re come faceva Gesù: non come un ricco ma come un povero che riceve, come un mendicante d'amore. E pen­sare davanti al povero: sono io il povero, fatto ricco di te, dei tuoi occhi accesi, della tua storia, del tuo coraggio.

Vi do un comandamento nuovo. Non si tratta di una nuova ingiunzione, ma del­la regola che protegge la vi­ta umana, dove sono rias­sunti del destino del mondo e la sorte di ognuno: «abbia­mo tutti bisogno di molto a­more per vivere bene» (Ma­ritain).

Dove sta la novità? Già nel­l'Antico Testamento era scritto ama Dio con tutto il cuore, ama il prossimo tuo come te stesso.

La novità del comando sta nella parola successiva: Come io ho a­mato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.

Non dice quanto vi ho ama­to, impossibile per noi la sua misura, ma come Gesù, con il suo stile unico, con la sua eleganza gentile, con i capo­volgimenti che ha portato, con la sua creatività: ha fat­to cose che nessuno aveva fatto mai. I cristiani non so­no quelli che amano (lo fan­no in molti sotto tutte le latitudini) ma quelli che ama­no come Gesù: se io vi ho la­vato i piedi così fate anche voi, fatelo a partire dai più stanchi, dai più piccoli, i vo­stri signori...

Come Lui, che non solo è a­more, ma esclusivamente a­more.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Come io ho amato voi...

L'ultima volta che abbiamo sentito parlare di lui è stata esattamente un mese fa: era il venerdì santo, e durante la lettura della Passione, è stata ricordata anche la sua figura. Poche parole, nella versione di Giovanni, proprio come nel vangelo di oggi, ma sufficienti a farci comprendere che anche la sua vicenda ha fatto parte, in maniera incomprensibile e necessaria, del mistero della nostra salvezza. Lui, Giuda, non poteva certo rimanere nel cenacolo mentre Gesù si apprestava a parlare di "cose nuove": aveva già subito la lavanda dei piedi come gesto di amore e di servizio, non era il caso che si fermasse di più, giacché il Maestro l'aveva esortato a "fare presto ciò che voleva fare". Uscito dal cenacolo, subito si era fatta notte: notte nel suo cuore, e notte nei pressi del cenacolo. In quella che il vangelo di Giovanni chiama "l'ora delle tenebre", si compie l'opera della redenzione: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato", dice Gesù agli altri undici rimasti con lui. Glorificato da cosa, da un tradimento? Da un gesto di odio e di disprezzo nei suoi confronti? Come può il Figlio di Dio venire glorificato da un tradimento?

Innanzitutto, occorre essere precisi: Gesù qui parla di sé come del Figlio dell'uomo, e lo fa per ricordarci che noi possiamo cogliere la sua divinità solo se accettiamo totalmente la sua dimensione umana ("Dio è stato glorificato in lui"). Perciò, se è vero - come lo è - che il Dio di Gesù Cristo si manifesta nella sua umanità, dobbiamo accettare che questo avvenga anche attraverso le dolorose vicende della meschinità umana, quindi anche attraverso il tradimento di una persona amica. La quale tradisce non perché odia (non me la sento di dire che Giuda odiasse Gesù), ma perché non capisce cosa vuol dire amare: o forse l'ha capito bene (magari anche meglio di Pietro e di tutti gli altri) e per questo non lo accetta. Giuda non riesce ad accettare che questo leader di nome Gesù, capo di un gruppo di persone che finalmente potevano in nome di Dio incarnare l'ideale di liberazione del popolo dalla schiavitù, in tre anni di predicazione non sia mai stato capace di dare un ordine, una strategia, un comandamento ai suoi discepoli. Non li ha mai obbligati a nulla: né a un'azione clamorosa, né a un gesto intimidatorio, né a osservare un regolamento che avrebbe potuto dare loro delle dritte su come costruire il nuovo Israele. Insomma, Giuda si aspettava nuovi ordini, nuovi comandi, nuove leggi, nuovi comandamenti più vincolanti di quelli di cui già il popolo d'Israele era in possesso. Questo non era avvenuto, e lui si sentiva tradito: tanto valeva ripagare Gesù con la stessa moneta. Ecco l'ora delle tenebre, che però nell'incomprensibile disegno della volontà di Dio coincide pure con l'ora della gloria di Gesù.

Forse Giuda aveva intuito qualcosa, o forse no, chi lo sa: sta di fatto che quando lui esce dal cenacolo, Gesù - per riprendere le ultime parole della lettura di Apocalisse - "fa nuove tutte le cose" e dà, finalmente, un nuovo ordine, un nuovo comandamento ai suoi discepoli, ma non è esattamente ciò che Giuda si aspettava. Anzi, è l'esatto opposto: perché non si tratta di un "nuovo" comandamento, ma di un comandamento "nuovo". Non sto facendo quisquilie letterarie, né tantomeno sterile nominalismo. Se dico "nuovo comandamento", indico un'ulteriore norma, una legge in più rispetto a quelle che già ci sono: e non è proprio ciò di cui il discepolo di Gesù ha bisogno, considerati i 613 precetti già presenti nella Legge di Mosè. Dicendo invece "comandamento nuovo", Gesù pone l'accento sulla qualità, sulla tipologia del comandamento, sulla sua sostanza. E in effetti, ci accorgiamo subito di come si tratti di qualcosa di nuovo. In genere, un comando indica qualcosa da fare, un obbligo, un dovere da compiere, qualcosa cui si è costretti, qualcosa che non ti lascia libero di decidere o no: lo devi eseguire, e stop. Non c'è via di uscita. L'esatto contrario dell'amore... che tuttavia è l'oggetto del comandamento di Gesù: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.". L'amore non è un obbligo, non può essere imposto, anzi: è proprio l'espressione massima della libertà, di due libertà che si incontrano, si apprezzano, si scelgono e si amano. Ecco allora perché parla di comandamento "nuovo": perché nessun uomo, nessun leader aveva mai dato ai propri seguaci o ai propri sudditi come comando, come ordine, quello di esercitare al massimo la propria libertà nell'amore.

E non si limita a questo, perché oltre a indicare la tipologia assolutamente nuova del comando dato, ne dà anche la misura, la modalità: "Come io ho amato voi". Bisogna allora che i discepoli facciano mente locale, e cerchino di ricordare se il Maestro abbia lasciato loro qualche esempio cui ispirarsi. L'esempio è lì da vedere, pochi versetti prima di questo, all'inizio del capitolo 13 di Giovanni nel contesto dell'ultima cena, ovvero quel gesto dal quale Giuda ha colto che non era più il caso che egli rimanesse con gli altri; il momento in cui Gesù si toglie le vesti dell'autorità, del rabbino, del maestro, e si cinge del grembiule del servizio lavando i piedi ai suoi discepoli. Gesù, quindi, è un leader che governa non per costrizione, ma con il buon esempio; non obbligando, ma liberando; non imponendo timore, ma generando amore; non opprimendo, ma servendo.

A dire la verità, è da quando si è mostrato Risorto che non smette di parlarci di servizio: otto giorni dopo la Pasqua appare ai suoi discepoli e sta "in mezzo" a loro, non come chi comanda ma come colui che serve; sulla riva del lago di Tiberiade serve ai suoi discepoli, smarriti per una notte di pesca inutile, un po' di pane e di pesce, e chiede a Pietro di mettersi al servizio dei fratelli; otto giorni fa si presenta come il buon pastore che dà tutto se stesso, addirittura la propria vita, per il suo gregge. Vuoi vedere che il servizio è proprio ciò che deve contraddistinguere la vita del cristiano? Vuoi vedere che è proprio l'amore servizievole al fratello ciò che dice di noi il nostro essere cristiani? Vuoi vedere che il nostro distintivo di cristiani è proprio l'amore che si fa servo di tutti?

Da cosa sapranno gli altri che siamo discepoli di Gesù? Dal numero di messe a cui partecipiamo? Dalle tante preghiere che recitiamo? Dalla quantità di funzioni religiose a cui assistiamo? Può anche darsi, ma sinceramente non lo so, perché nel Vangelo su questo non trovo nulla. So invece come termina il vangelo di oggi: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri". Più chiaro di così...

Omelia di don Alberto Brignoli

 

Liturgia e Liturgia della Parola della V Domenica di Pasqua (Anno C) 24 aprile 2016

tratto da www.lachiesa.it