25 maggio 2014 - VI Domenica di Pasqua: è lo Spirito di Cristo risorto che muove il credente perché ami come Lui ama

News del 23/05/2014 Torna all'elenco delle news

Il cap.14 del Vangelo di Giovanni che leggiamo in queste domeniche del tempo pasquale, è la risposta di Gesù alla sua comunità in ricerca della propria identità. Ad una comunità, piccola, debole, che si sente fragile di fronte ad un mondo che cerca e offre sicurezze di ogni genere, Gesù apre una strada radicalmente nuova: credere l'Amore di Dio, donato al mondo attraverso la sua Croce. Al centro dell'identità cristiana sta la Croce di Cristo, segno concreto di tutta la storia umana: la Croce rivelazione di Dio che ama sino al dono totale di sé, segno della sua presenza senza limite nel mondo, non fallimento ma compimento del suo desiderio di essere con noi. La Croce rivelazione concreta dell'Amore. Ecco l'identità della comunità secondo il Vangelo di Giovanni: è una comunità che crede l'Amore di Dio rivelato in Gesù che muore in Croce e risorge. Ai suoi discepoli Gesù ricorda che il suo Amore donato è la forza che permette di non rinchiudersi in un passato finito, ma di aprirsi ad un avvenire percepito come lo spazio della loro fedeltà a Lui in una comunità e nel mondo. Solo il discepolo che accetta la realtà della morte di Gesù e quindi della sua assenza fisica, può aprirsi ad una nuova relazione con il Crocifisso-Risorto: la vera "sequela" comincia con la Pasqua, evento che restituisce Gesù al credente in modo nuovo. La Croce non è la fine, ma l'inizio di un nuovo cammino, di una relazione, diventata infrangibile, con Lui: con la sua morte, egli apre una "via" che conduce alla "verità" dell'esperienza di Dio che è la "vita" piena. Ed è la fede: credere che l'Amore rivelato nella Croce di Gesù apre il tempo della pienezza nella quale chi crede compie opere più grandi di quelle compiute da Gesù: chi crede è il testimone della rivelazione dell'Amore che si compie ormai nella storia e nel mondo.

Il tempo postpasquale è un tempo di pienezza: chi crede l'Amore, ama. Chi si lascia amare da Lui, ama Lui ed osserva il suo "comandamento nuovo". È la novità dell'esperienza cristiana, che Paolo definisce "la vita secondo lo Spirito": è lo Spirito di Cristo risorto che muove il credente perché ami come Lui ama. È l'esperienza dello Spirito, il gusto interiore di Dio, che il mondo non conosce, che fa l'uomo nuovo, testimone del Cristo vivo, testimone della presenza di Dio nel mondo.

Solo la concretezza di una vita donata da chi si lascia condurre dallo Spirito, non una dottrina, una teologia, una filosofia, mostra la verità della relazione con Dio che si realizza da quando la Croce di Gesù ha inaugurato il tempo della sua presenza nuova.

E solo la concretezza di una esperienza d'Amore realizza l'identità della comunità dei discepoli di Gesù. Vivere l'Amore in una trama di relazioni fraterne è il frutto dell'accoglienza dell'evento di Gesù che muore e risorge per essere per sempre l'Amore di Dio con noi, per noi e in noi.

Credere l'Amore significa credere Gesù, sperimentare l'incontro con Lui come la relazione intima più profonda che riempie la vita umana di pace e di gioia e le dà la possibilità di realizzarsi nella libertà e nella pienezza delle sue possibilità.

"Vengo verso di voi...voi mi vedrete": credere significa accogliere Lui e vedere Lui in ogni attimo, in ogni incontro, in ogni persona...

"Voi mi vedrete perché io vivo e anche voi vivrete": credere significa fare l'esperienza (vedere) di un incontro vivo con Lui (l' "Io vivo") che comunica vita.

"Voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi": credere significa lasciarsi afferrare dal suo Spirito, dal suo Amore che opera la nostra identificazione con Lui e della sua con noi. Così partecipando della sua identità di Figlio del Padre, "sappiamo" che Lui è nel Padre suo e "conosciamo Dio".

"Vedrete...vivrete...saprete...". "Voi...Io"...Credere è entrare in relazione con Lui: "Io vengo...Io vivo...Io sono...", credere e condividere l'Amore che Lui ha per noi: Gesù è la concretezza dell'Amore infinito di Dio per noi. Tutto viene da Lui: a noi è chiesto soltanto di lasciarci amare. Tutto è infinitamente grande, bello... e tutto diventa vero anche solo nel più piccolo atto d'Amore che noi compiamo.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Il nostro respiro, un soffio nel vento di Dio

Se mi amate osserverete i miei co­mandamenti. Tutto comincia con una parola carica di delicatezza e di rispetto: se mi amate... "Se": un punto di partenza così umile, così libero, così fidu­cioso. Non si tratta di una ingiunzione ( do­vete osservare) ma di una constatazione: se amate, entrerete in un mondo nuovo.

Lo sappiamo per esperienza: se ami si ac­cende un sole, le azioni si caricano di for­za e di calore, di intensità e di gioia. Fiori­sce la vita come un fiore spontaneo.

Osserverete i comandamenti "miei", dice. E miei non tanto perché prescritti da me, ma perché riassumono me e tutta la mia vita. Se mi amate, vivrete come me! Se ami Cristo, lui ti abita i pensieri, le azioni, le pa­role e li cambia. E tu cominci a prendere quel suo sapore di libertà, di pace, di perdono, di tavole im­bandite e di piccoli abbracciati, di relazio­ni buone, la bellezza del suo vivere. Co­minci a vivere la sua vita buona, bella e beata. Ama e fa quello che vuoi (sant'Ago­stino). Se ami, non potrai ferire, tradire, derubare, violare, deridere. Se ami, non potrai che soccorrere, accogliere, benedi­re. E questo per una legge interiore ben più esigente di qualsiasi legge esterna. A­ma e poi va' dove ti porta il cuore.

In una specie di commovente, suadente monotonia Gesù per sette volte nel bra­no ripete: voi in me, io in voi, sarò con voi, verrò da voi.

Attraverso una parola di due sole lettere "in" racconta il suo sogno di comunione.

Io nel Padre, voi in me, io in voi: dentro, immersi, uniti, intimi. Gesù che cerca spa­zi, spazi nel cuore. Io sono tralcio unito al­la madre vite, goccia nella sorgente, raggio nel sole, scintilla nel grande braciere del­la vita, respiro nel suo vento.

Non vi lascerò orfani. Non lo siete ora e non lo sarete mai: mai orfani, mai ab­bandonati, mai separati. La presenza di Cristo non è da conquistare, non è da rag­giungere, non è lontana. È già data, è den­tro, è indissolubile, fontana che non verrà mai meno.

Molti intendono la fede come tensione verso un oggetto di desiderio mai rag­giunto o come ricordo di un tempo dell'o­ro perduto. Ma Gesù ribalta questo atteg­giamento: fonda la nostra fede su un pie­no non su un vuoto; sul presente, non sul passato; sull'amore per un vivo e non sul­la nostalgia.

Noi siamo già in Dio, come un bimbo nel grembo di sua madre. E se non può ve­derla, ha però mille segni della sua pre­senza, che lo avvolge, la scalda, lo nutre, lo culla.

E infine l'obiettivo di Gesù: Io vivo e voi vi­vrete: far vivere è la vocazione di Dio, la mania di Gesù, il suo lavoro è quello di es­sere nella vita datore di vita. È molto bel­lo sapere che la prova ultima della bontà della fede sta nella sua capacità di tra­smettere e custodire umanità, vita, pie­nezza di vita. E poi, di farci sconfinare in Dio.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Gareggiamo nell'amore con Dio

Viviamo in un mondo abituato a parlare di amore e a presentarne ogni giorno il volto sfigurato e banalizzato, nelle miriadi di proposte offerte dalla tecnologia. Viviamo in un mondo capace di mettere in contatto le persone alle estremità dei continenti e assetato profondamente di relazione, ma terrorizzato quando si tratta di stringersi le mani l'un l'altro e di guardarsi negli occhi. Viviamo in un mondo che promuove il culto del corpo e stimola ossessivamente le corde delicate della nostra affettività, ma attraversato da una spaventosa epidemia di solitudine e frammentato in rivoli dolorosi di egoismo.

Viviamo... e dire che viviamo è già un andare controcorrente, una proposta rivoluzionaria. Perché ci si abitua, anche nelle competizioni televisive e nei rapporti "usa e getta", a credere di dover sostanzialmente soltanto sopravvivere e difendersi dalla minaccia dell'altro. Invece, noi vogliamo vivere! E vivere felici! Felici proprio in questo mondo, che non si accorge di correre il rischio più grande: quello di non vedere più Gesù, la fonte della vita, e di non poter ricevere "lo Spirito della verità", "perché non lo vede e non lo conosce".

Ma noi viviamo: ce l'ha detto Lui, come promessa che si compie oggi. "Perché io vivo e voi vivrete".

Anche questa domenica, la Parola ci suggerisce di non accontentarci, e di essere svegli e vigilanti. Ci viene offerta la opportunità di ricevere in dono e di custodire per sempre la perla più preziosa di tutte, l'acqua zampillante di cui abbiamo sete, la risposta alle nostre più intime angosce: ci viene donato Dio in persona. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che vivono nell'amore e sono l'amore, si offrono a noi per renderci partecipi della loro traboccante relazione d'amore.

Tutto ciò può sembrare così lontano e astratto, se continuiamo a pensare che Dio non abbia niente a che vedere con le vicende quotidiane del mondo e che i nostri problemi e i nostri guai sussistano su una sfera diversa da quella della fede. La fede, invece, è la realtà più concreta dell'esistenza: è ciò su cui si regge l'intero edificio della nostra vita, sono le fondamenta che impediscono alla casa di cadere. Pietro lo scriveva ai membri della comunità di Roma, invitandoli a saper dare ragione della loro speranza (cfr. 1Pt 3,15). E questa speranza - lo aveva capito bene, avendolo vissuto sulla propria pelle - non nasce dalla conoscenza esteriore e razionale di un episodio storico o di qualche norma morale suggerite dal profeta Gesù. Nasce invece dall'adorazione del Signore Gesù "nei vostri cuori". L'evento della morte e risurrezione di Cristo entra a far parte costitutiva della nostra persona, entra in circolo nel sangue che scorre nelle nostre vene, entra nella memoria della nostra personale storia di salvezza. La relazione intima con Gesù sostiene la nostra esistenza, e la rende spazio di senso, luogo di amore, storia di salvezza nella misura in cui ci lasciamo avvolgere e impregnare da essa.

É qualcosa difficile da esprimere in parole, per noi figli dell'immediato e dell'esteriore. Può avere qualcosa a che vedere con le ansie dei disoccupati e degli sfruttati di questo mondo? Può intaccare la presuntuosa autoreferenzialità dei potenti e degli oppressori? Sì. Perché è una buona notizia sconvolgente. Gesù ci invita a divenire partecipi con Lui della stessa relazione che Egli ha con il Padre. Quindi a divenire in Lui figli, figli adottivi per grazia dello Spirito. É come se, mentre prima, guardandoci allo specchio, ci vedevamo vuoti e ci sforzavamo di nascondere tanta povertà aumentando gli strati di trucco e facendo la voce grossa, ora invece possiamo guardarci allo specchio e vedere traboccare dalla luce degli occhi la pienezza di quello che siamo dentro: figli! Se ogni mattino inizia così, ne trova profondo giovamento l'intera giornata e tutti i nostri rapporti!

Dio, infatti, vince il dramma dell'orfanità. Dio sconfigge la tragedia dell'abbandono. Dio scava dentro e fa sgorgare la novità della vita dalla relazione vitale e vivificante con Lui. Lo Spirito Santo, leggero come una brezza, e profumato di tutti gli aromi della creazione e della storia, opera questo prodigio e ci restituisce la nostra identità più bella. Ritorniamo capaci di amare, perché ci lasciamo amare.

Questa è la nostra verità, ricevuta in dono, ma anche progetto da compiere. Questo è il significato dei comandamenti che Gesù ci lascia in eredità, che rappresentano piuttosto la necessaria e naturale conseguenza del motivo del nostro esistere. Se scopro che sono amore, non posso non amare. Proprio come il Padre. Se scopro che sono ricolmo di amore, non posso trattenere l'amore ricevuto gratuitamente in dono. Proprio come il Figlio. Se scopro che attorno a me tanti ancora si sentono orfani - e quanti sono resi orfani dall'egoismo del mondo! -, non posso che condividere la scoperta affascinante di essere ovunque e con chiunque una comunità di fratelli, perché figli. Proprio come lo Spirito, che fa la Chiesa.

Si genera così l'unica incredibile gara che ha senso di correre in questa vita. É una specie di competizione, tra noi, ma persino con Dio stesso, a vedere chi ama di più! Si può competere nell'amore con la Trinità? Sappiamo già di essere perdenti... Ma non ci interessa la classifica, il premio è già nell'amare, o meglio nell'essere amato. E chi guarda alla classifica, ha già smarrito il senso dell'amore, che è dono gratuito. Ci interessa lasciar esplodere l'amore ricevuto.

E d'altro canto, al guardare il Figlio Crocifisso, primogenito di tanti figli, non scopriamo con trepidazione che è proprio perdendo che vinciamo nell'amore? Amare Gesù è amare la Croce, autentica dimora dell'amore. Perché sulla Croce, che ci visita ogni giorno se impariamo ad offrirci per amore, si manifesta la sconfitta che vince il mondo: abbandonati i muri dell'egoismo e dell'autorealizzazione, consegnate le armi della superbia e della sensualità, spalanchiamo le braccia alla relazione che riempie la nostra esistenza. In questa intima unione con la Trinità crocifissa anche i dolori del mondo e la crisi dell'uomo divengono opportunità per manifestare la densità dell'amore.

Omelia di don Luca Garbinetto

 

Le ragioni della nostra Speranza

Ci stiamo avvicinando, in maniera decisa, alla Solennità dell'Ascensione, ossia al momento in cui la Chiesa fa memoria e rivive il ritorno di Gesù alla casa del Padre. Il discorso di Gesù nell'ultima cena riportato dal Vangelo di Giovanni ci sta accompagnando in queste domeniche del Tempo di Pasqua; e la dimensione della sofferenza e della tristezza è dal Signore accentuata ancor di più con l'immagine degli "orfani". 

Il tema della speranza ritorna fortemente nelle letture di oggi, e addirittura Pietro ci esorta a essere "sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi". Che cosa significa, per un cristiano, rendere ragione della propria speranza? Che cosa significa per un cristiano la speranza? Che cos'è, in fondo, la speranza? Senza dubbio, il suo fondamento è l'attesa del Regno che verrà, nella misura in cui, però, la speranza di questo Regno la costruiamo qui, oggi. La speranza cristiana, quella che salva - come ricordava papa Benedetto XVI - "agisce già nel presente, come certezza dell'avvenire e come fiducia che la propria vita non finisce nel vuoto", ma si apre a una prospettiva infinita, che non termina mai. E papa Francesco, con l'efficacia e la semplicità delle immagini che lo contraddistinguono, definisce la speranza "la più umile delle tre virtù teologali, perché nella vita non si vede, si nasconde. Tuttavia essa ci trasforma in profondità, così come una donna in dolce attesa è donna, ma è come se si trasformasse perché diventa mamma".

L'umiltà della speranza è quella stessa che Pietro ci ha ricordato nella seconda lettura: non possiamo imporre agli altri la speranza che abbiamo nel cuore, tutto va fatto "con dolcezza, rispetto, e retta coscienza". Questo può anche provocare sofferenza, perché vivere nella speranza, non è facile... Ma Pietro ci esorta: "È meglio soffrire operando il bene che operando il male". Così fu per Cristo, che addirittura fu "messo a morte nel corpo ma reso vivo nello spirito".

Il "trucco" della speranza cristiana, sofferta e umile, è tutto lì: il dono dello Spirito che rende vivo anche ciò che muore. Ma di questo ne riparliamo a Pentecoste.

Omelia di don Alberto Brignoli

 

Liturgia e Liturgia della Parola della VI Domenica di Pasqua (Anno A) 25 maggio 2014