16 marzo 2014 - II Domenica di Quaresima: un Dio che fa risplendere la vita
News del 12/03/2014 Torna all'elenco delle news
Dal deserto di pietre al monte di luce. Dalle tentazioni alla trasfigurazione. Il cammino di Cristo è quello di ogni discepolo, cammino ascendente e liberante: dal buio delle tentazioni attraversato fino alla luce di Dio. Cos'è la luce di Dio? È energia e bellezza. Per il corpo: sostiene la nostra vita biologica. Per la mente: sapienza che fa vedere e capire. Per il cuore, che rende capaci di amare bene.
E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Come il sole, come la luce. Quante volte nella Bibbia, nei salmi, Dio sorge glorioso come un sole: il sole chiama alla vita, a fiorire a maturare a dare frutto. Accende la bellezza dei colori e degli occhi. Come la pianta che cattura la luce del sole e la trasforma in vita, così noi, fili d'erba davanti a Dio, possiamo imbeverci, intriderci della sua luce e tradurla in calore umano, in gioia, in sapienza.
Gesù ha un volto di sole, perché ha un sole interiore, per dirci che Dio ha un cuore di luce. Ma quel volto di sole è anche il volto dell'uomo: ognuno ha dentro di sé un tesoro di luce, un sole interiore, che è la nostra immagine e somiglianza con Dio. La vita spirituale altro non è che la gioia e la fatica di liberare tutta la luce sepolta in noi.
Signore, Pietro prende la parola, che bello essere qui! Restiamo quassù insieme. L'entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione stupita: che bello! Ci fanno capire che la fede per essere forte e viva deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un «che bello!» gridato a pieno cuore. Come Pietro sul monte: è bello con te, Signore!
Questo Vangelo è per dirci che la Quaresima più che un tempo di lutto e penitenza, è un girarsi verso la bellezza e la luce. Acquisire fede significa acquisire bellezza del vivere, acquisire che è bello amare, abbracciare, dare alla luce, esplorare, lavorare, seminare, ripartire perché la vita ha senso, va verso un esito buono, qui e nell'eternità. San Paolo scrive a Timoteo una frase bellissima: Cristo è venuto ed ha fatto risplendere la vita. Non solo il suo volto, non solo le sue vesti sul Tabor, non solo i nostri sogni. Ma la vita, qui, adesso, di tutti. Ha riacceso la fiamma delle cose. Ha messo nelle vene del mondo frantumi di stelle. Ha dato splendore e bellezza all'esistenza. Ha dato sogni e canzoni bellissime al nostro andare di uomini e donne.
Basterebbe ripetere senza stancarci: ha fatto risplendere la vita, per ritrovare la verità e la gioia di credere in questo Dio.
Allora tutto il creato si fa trasparente e il divino traspare nel fondo di ogni essere (Teilhard de Chardin) e gronda di luce ogni volto di uomo (Turoldo).
Omelia di padre Ermes Ronchi
Ed ecco una voce dalla nube che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo!"
Come vivere questa Parola? È molto bello trovare, lungo il cammino quaresimale, mentre facciamo i conti con la nostra umanità fragile ferita e talora persino disconnessa da Dio, questo meraviglioso squarcio di luce folgorante come è la trasfigurazione del Signore Gesù, la sua sosta sul Monte Tabor.
La liturgia ci sta facendo ripercorrere il viaggio di Gesù verso Gerusalemme; e così, nel bel mezzo di questo viaggio che porta con sé gli anticipi della passione, ecco una sosta consolante e confortante!
Una sosta contemplativa per ricordarci che ogni conversione se non diventa trasfigurazione può rimanere solo nel gioco di un perfezionismo freddo e autofrustrante: scoprirsi amati, meglio ancora "l'amato" produce dentro un'energia potente di gioia umile e riconoscente.
Diventa chiaro allora, anche per me oggi, quanto San Paolo dice a Timoteo nella seconda lettura: "... ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia". E quale è questa vocazione santa? Semplice: risorgere, vivere da risorti! Luminosi e trasfigurati. Nessuna colpa, nessuna debolezza, nessuna fragilità potrà mai cancellare questa chiamata santa.
Oggi, nel mio rientro al cuore, lascio che il mistero della Trasfigurazione del Signore mi consoli, mi dia coraggio e mi aiuti a dimorare dentro la grande consapevolezza della risurrezione.
Irradia sul nostro volto, Signore, la luce di Gesù trasfigurato e risorto perché anche la nostra vita diventi caparra di risurrezione.
La voce di un mistico: La Trasfigurazione finisce per diventare una festa prediletta, esprime esattamente ciò che io mi aspetto più ardentemente in Cristo: che la beata metamorfosi di tutto si compia in noi e ai nostri occhi. (Teilhard de Chardin)
Omelia dell'Eremo San Biagio
Il coraggio e lo sprone dell'obiettivo pregustato
Quando la meta sembra ancora lontana e irraggiungibile, il segreto per vincere lo scoraggiamento e per non lasciarci sorprendere dalla resa e dal demordimento è immaginare l'obiettivo prefissato.
Avere una sorta di prefigurazione, di anticipo o di caparra del traguardo finale per cui stiamo lottando ci sprona infatti a perseverare fiduciosi finché esso non sarà conseguito, perché ci aiuta a considerare il traguardo e ad ignorare gli ostacoli che da esso ci separano. Porre troppa attenzione sulle difficoltà è la radice del fallimento.
Ne siamo consapevoli tutti, come il patriarca Abramo, che accetta di abbandonare la propria terra per raggiungere una meta in realtà a lui sconosciuta, ma che Qualcun altro aveva per lui predisposto. Egli si incammina con fiducia eludendo le rinunce che quel viaggio sta per procurargli, come l'abbandono della patria, della casa che lo aveva sempre accolto, cresciuto e protetto e dei pascoli sicuri per il proprio bestiame. Non pone obiezioni alla proposta che improvvisamente Dio gli rivolge, non replica in alcun modo a quell'insolito quanto imprevisto invito e noncurante dei pericoli e dei rischi che potrebbe comportare quel viaggio senza ritorno, si mette in cammino per una terra sconosciuta, consapevole che, pur non avendola scelta egli stesso, quella è comunque la meta da raggiungere.
Abramo è stato definito emblema della fede, appunto perché tale è la disposizione d'animo che lo motiva a protrarsi oltre i suoi confini. Egli è animato dalla fiducia incondizionata in Dio, per la quale è pronto ad affrontare anche l'imprevisto, ma anche dal conseguente vantaggio di ricompensa che Dio gli pone sotto gli occhi: "Di te farò una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione." E l'aspettativa del bene futuro lo rinsalda e lo rinvigorisce nel cammino. Una vecchia canzone sull'emigrazione di massa dal Meridione diceva: "Senza amore è più dura la fatica, ma la notte è un sogno sempre uguale: avrò una casa per me e per te." La fede in Dio e la fiducia nelle proprie possibilità aiutano a guardare oltre le difficoltà, a non considerare eccessivamente gli ostacoli e a mirare sempre alla meta prefissata; così era per Abramo così non può che essere anche per noi.
Il cammino di Quaresima non è solamente un itinerario liturgico, ma rispecchia per intero la nostra vita di persone in continua propensione verso ideali e obiettivi che sono sempre legittimi e giustificati quando riguardino i buoni propositi. Ancora più esaltanti quando prefiggano un obiettivo di radicale trasformazione in meglio di noi stessi. Il percorso è certamente tortuoso e a tratti anche ostile e refrattario, non di rado le tentazioni alla resa e alla sconfitta ci fanno soccombere e le subdole e allettanti proposte dell'Avversario costituiscono una prova costante, una tentazione seducente alla quale molti cedono volentieri, anche perché sedotti dal suo vantaggio apparente e momentaneo. Il deserto, cioè l'assenza, il vuoto re l'abbandono che la vita spirituale inevitabilmente comportano, sono necessari per conseguire ogni terra promessa. Ma nelle asperità di questo itinerario ci viene in aiuto lo stesso Signore, che ci offre un preludio della ricompensa futura, una prefigurazione della gioia e dell'esultanza gloriosa che racchiude l'obiettivo della Pasqua.
Pietro, Giacomo e Giovanni avevano conosciuto in Gesù più che altro il loro compagno, il loro maestro e confidente, il leader che organizzava il loro lavoro missionaio. Magari lo avevano certamente riconosciuto come il Signore e Messia, tuttavia forse poche volte si erano soffermati su quest'ultimo aspetto della sua vita.
Adesso però avviene qualcosa di straordinario e di inimmaginabile fino a quel momento, per cui essi mostrano una paura insolita mista a gioia e a stupore: si manifesta davanti a loro nella sua gloria piena quale Figlio di Dio, prefigurato dalla Legge (Mosè) e dai Profeti (Elia); la nube, che già altrove nella Scrittura attesta al divino che raggiunge l'umano fino a toccarlo e ad accompagnarlo, discende su di Lui e su quegli "strani" interlocutori e viene esaltata in lui la gloria indefinita e ineffabile che appartiene solo a Dio. In parole povere, i tre discepoli si convincono che il loro maestro non è in realtà il perseguitato e l'umiliato da scribi e farisei che avevano sempre conosciuto nelle loro interazioni con lui, ma che è il Dio della gloria, il Messia di cui avevano parlato i profeti. Adesso lo riconoscono come tale e comprendono la motivazione fondamentale della sua direzione a Gerusalemme, dove egli sarà catturato e messo a morte.
Tale avvenimento infatti ha luogo proprio nei giorni in cui Pietro, Giacomo e Giovanni, assieme agli altri apostoli hanno appreso che il loro maestro è destinato alla crocifissione(Cfr. Mt 17, 21-23), il che non è affatto casuale: se prima Gesù aveva rimproverato Pietro nel suo tentativo di distoglierlo dal raggiungere la capitale giudaica ("Allontanati da me, Satana"), adesso sta mostrando a lui e ai suoi compagni la necessità di tale viaggio e di tale, conseguente, patibolo. Il Maestro che verrà crocifisso è lo stesso che sarà glorificato anche nel suo corpo e che avrà ragione della morte e della malvagità ridicola e ostinata dell'uomo.
E' consolante avere un preludo della gioia quando siamo avvinti dall'amarezza della lotta. Ci sentiamo spronati, incoraggiati e motivati a non dar peso alle possibili sconfitte e a considerare ogni giorno la sola possibilità della vittoria. E questo incute ottimismo, rincuora l'animo e ravviva lo spirito affinché nulla possa distoglierci dal traguardo che ci siamo prefissi. Senza omettere tuttavia che non c'è meta o obiettivo che si disorienti da Cristo e che anzi è lui stesso il nostro obiettivo ultimo.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica di Quaresima (Anno A) 16 marzo 2014