La musica del Natale secondo papa Francesco: riscoprire quel "filo sonoro di silenzio"
News del 13/12/2013 Torna all'elenco delle news
Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae: Quando il silenzio è musica - Giovedì, 12 dicembre 2013
Il Natale è una festa nella quale si fa tanto rumore. Mentre viviamo questo periodo di attesa sarebbe importante invece riscoprire il silenzio, come momento ideale per cogliere la musicalità del linguaggio con il quale il Signore ci parla. Un linguaggio — ha detto Papa Francesco durante la messa celebrata giovedì mattina, 12 dicembre, nella cappella di Santa Marta — tanto simile a quello di un padre e di una madre: rassicurante, pieno di amore e di tenerezza.
Come di consueto il Pontefice ha preso spunto dal brano proposto dalla liturgia, tratto dal libro del profeta Isaia (41, 13-20), quello che qualche giorno fa aveva definito «il libro della consolazione di Israele», come lui stesso ha ricordato. Papa Francesco ha confidato di aver riflettuto «non tanto su quello che il Signore dice» quanto piuttosto «sul come il Signore lo dice»: cioè, ha spiegato con una similitudine «non tanto nella lettera ma nella musica».
Come ci parla il Signore? Forse, ha affermato il Santo Padre, può sembrare strano sentire un Dio grande dire: «Io sono il Signore tuo Dio, che ti tengo per la destra, come il papà il bambino. E ti dico: non temere! Io vengo in tuo aiuto». È proprio come il padre che corre accanto al suo bambino quando, di notte, fa un brutto sogno e gli dice: «Non temere! Ci sono io vicino a te».
Allo stesso modo ci parla Gesù. Egli «si avvicina» a noi. «Quando guardiamo un papà o una mamma che si avvicinano al loro figliolo — ha spiegato il vescovo di Roma — noi vediamo che diventano piccoli, parlano con la voce di un bambino e fanno gesti da bambini». Chi li vede dal di fuori può pensare che sono ridicoli. Ma «l’amore del papà e la mamma ha necessità di avvicinarsi», di «abbassarsi al mondo del bambino». E anche se papà e mamma gli parlassero normalmente, il bambino li capirebbe; «ma loro vogliono prendere il modo di parlare del bambino. Si avvicinano. Si fanno bambini. E così è il Signore».
Papa Francesco ha richiamato «i teologi greci», che «parlando di questo, dicevano una parola molto difficile: “sincatabasi”, la “condiscendenza” di Dio che accetta di farsi uno di noi». In questo modo parla il Signore. E addirittura fa come fanno i genitori, che ai loro bambini «dicono cose un po’ ridicole — giocattolo mio! — e tutte queste cose». In effetti «anche Gesù dice: vermiciattolo di Giacobbe, tu sei come un vermiciattolo per me, sei una cosa piccolina... ma ti amo tanto». Questo «è il linguaggio del Signore: un linguaggio d’amore, di padre, di madre».
Certo, ha proseguito il Pontefice, dobbiamo ascoltare la parola del Signore, quello che lui ci dice; ma dobbiamo anche ascoltare «come lo dice». E dobbiamo fare come lui, cioè «fare quello che dice, ma farlo come lo dice: con amore, con tenerezza, con quella “condiscendenza” verso i fratelli».
«Mi ha sempre colpito — ha confidato il Papa — l’incontro del Signore con Elia, quando il Signore parlò con Elia». Era sul monte e quando lo vide passare «il Signore non era nella grandine, nella pioggia, nella tempesta, nel vento... Il Signore era nella brezza soave» (cfr 1 Re 19,11-13).
«Nell’originale — ha specificato il vescovo di Roma — è usata una parola bellissima che non si può tradurre con precisione: era in un filo sonoro di silenzio. Un filo sonoro di silenzio: così si avvicina il Signore, con quella sonorità del silenzio che è propria dell’amore». E a ogni uomo dice: «Tu sei piccolo, debole peccatore; ma io ti dico che ti faccio come una trebbia acuminata, nuova, munita di molte punte. Tu trebbierai i monti e li stritolerai, ridurrai i colli in pula. Li vaglierai e il vento li porterà via, il turbine li disperderà». Così egli «si fa piccolo per farmi potente. Lui va alla morte, nel segno di quella “condiscendenza”, perché io possa vivere».
«Questa — ha detto ancora Papa Francesco — è la musica del linguaggio del Signore. Noi, preparandoci al Natale, dobbiamo sentirla. Ci farà bene, molto bene». Di solito il Natale è «una festa di molto rumore. Ci farà bene fare un po’ di silenzio», per «sentire queste parole di amore, di tanta vicinanza, queste parole di tenerezza». E ha concluso: «Dobbiamo fare silenzio in questo tempo perché, come dice il prefazio, noi siamo vigilanti in attesa».
tratto da www.vatican.va (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 286, Ven. 13/12/2013)