Canonizzazione di Mons. Enrico Montalbetti
arcivescovo di Reggio Calabria dal 10 giugno 1938 al 31 gennaio 1943
Un Vescovo educatore
Articolo del 1958, motivato dal XV della morte e dalla pubblicazione della biografia di Enrico Corbella[Corbella Enrico, Enrico Montalbetti Arcivescovo, Como 1957]e scritto dall’allora don Carlo Colombo, discepolo di Montalbetti al Collegio di Cantù, poi vescovo e teologo molto vicino a papa Paolo VI.
La sera del 1° febbraio 1943 la Radio italiana trasmetteva, tra le altre notizie di guerra, l’annuncio che il giorno prima a Melito Porto salvo durante un attacco aereo una bomba aveva troncato la vita a S.E.Mons. Enrico Montalbetti, Vescovo di Bova. Nonostante il duplice errore di identificazione non poteva essere difficile per chi Lo conosceva: Melito Porto salvo è una borgata a metà strada tra Reggio Calabria e Bova, ricordata anche nell’Atlante Internazionale del Touring. Non vi poteva essere dubbio: si trattava proprio di S.E. Mons. Enrico Montalbetti, Arcivescovo di Reggio Calabria e Vescovo di Bova. Il giorno seguente il bollettino di guerra n.982 ed i giornali confermavano, precisandola, la notizia e davano i primi particolari sulla morte: la visita pastorale ad Annà di Melito; l’aereo sbucato improvviso a sganciare le bombe sul villino Ramirez dove il Vescovo era ospitato. Il biografo solerte che rievoca oggi a 15 anni di distanza questo fatto giustamente non vi vede nessuna seconda intenzione da parte del pilota dell’aereo: forse egli voleva soltanto liberarsi dalle bombe scaricandole nel mar, vicinissimo. E comunque non si è trattato d’altro che di un comune, doloroso fatto di guerra, come tanti ve ne sono stati e tutti dolorosi per le vittime o per quanti ne furono partecipi.
Ma appunto per questo sorge più conturbante la domanda: “Perché? Perché Iddio ha voluto che scomparisse così di improvviso un vescovo ancora nel pieno vigore delle sue energie, appena all’inizio di un ministero episcopale che le sue qualità ed il suo zelo facevano presagire fecondissimo? Certamente le vie di Dio sono diverse dalle nostre, e non è possibile a noi dare una spiegazione esauriente, od anche soltanto approssimativamente adeguata, di quanto la Provvidenza dispone. Ma forse non si va lontano dal vero indicando una ragione per la quale il Signore ha voluto chiamare a Sé mons. Montalbetti ancora tanto giovane: il genere di morte che gli fu riservato era forse proprio quello ch’egli aveva desiderato: il sacrificio della sua vita per risparmiare quella dei suoi figliuoli. Ancor oggi nel Duomo di Reggio Calabria la tomba di Mons. Montalbetti è frequentemente adornata di fiori: qualcuno pensa segretamente che l’Arcivescovo col suo sacrificio abbia risparmiato molti dolori alla città. Ma soprattutto si può ben dire che il Signore lo ha chiamato perché egli aveva sostanzialmente compiuta la sua missione.
Il biografo nota che l’ultima giornata di lui era stata come un riassunto della sua vita: “Pastore delle anime, cantico al modello, Don Bosco, cui aveva sempre guardato; confessioni su confessioni (egli che aveva sempre riposto nel Sacramento della Penitenza l’ancora della salvezza eterna); omaggio di genitori e di figli (tanti ne aveva educati alla vita!) nel villino Ramirez; devozione di popolo, cui aveva donato tutto se stesso, fino al sangue; ricerca del regno di Dio nelle anime con la parola, con l’esempio, con il ministero…”.
Mons. Montalbetti è stato soprattutto un Sacerdote educatore, e la sua memoria resterà, oltre che nel cuore dei molti che l’hanno avuto maestro e padre, anche nella galleria non scarsa dei sacerdoti che per amore di Cristo hanno amato i fanciulli ed i giovani ed hanno donato ad essi il meglio di se stessi. Una frase riportata dal biografo caratterizza meglio di ogni altra lo spirito di questo sacerdote. Si trova nella lettera ch’egli indirizzò agli alunni di Cantù nel gennaio del 1931, poco prima di trasferirsi a Milano dove lo chiamava l’ubbidienza: certamente una delle lettere più commosse e sincere che un educatore abbia mai scritto. “Come vorrei, se il Signore lo volesse, stare sempre con voi, dimenticato da tutti e conosciuto solo da voi; ritrovarmi con voi in Chiesa, nel mio studio, al vostro letto quando siete ammalati; ricondividere con voi le vostre gioie e le vostre pene. Nessun amore al mondo, nessuna posizione vale per me l’amicizia di un fanciullo”. E queste altre espressioni, altrettanto sincere: “Ogni giorno benedirò il Signore che mi ha messo per tanti anni alla scuola dei fanciulli. Il ministero pastorale deve cominciare dal confessare e confessare bene i giovanetti… Dopo il passaggio di Gesù sulla terra, ci dovrebbe essere uno stretto legame tra il Sacerdozio e i fanciulli. Invece troppi fanciulli sono senza preti e troppi preti senza fanciulli!”. Si capisce allora perché potesse dire a Mons. Sargolini: “Se non ci fossero i giovani non resterei a fare il Vescovo”.
Eppure non aveva cominciato così. Durante gli anni di preparazione al sacerdozio aveva amato lo studio; aveva anche sognato una missione d’apostolato intellettuale. Di intelligenza acutissima e portata allo studio della matematica e della fisica, sentiva personalmente il problema dei rapporti tra ricerca scientifica e fede religiosa, tra scienze fisiche e filosofia, ed anticipando il futuro prevedeva che uno dei compiti essenziali del pensiero cattolico attuale deve essere quello di ricercare i ponti tra pensiero scientifico, pensiero filosofico e fede religiosa. Per questo anche più tardi cercò di suscitare vocazioni di studio in questo senso; e continuò per tutta la vita a leggere con intelligenza i migliori libri di divulgazione scientifica e filosofica, oltre che di cultura religiosa. Voleva essere sempre in grado di capire i problemi degli uomini di pensiero del nostro tempo, per poterli aiutare.
Ma da quando il volere dei superiori lo destinò come direttore spirituale di fanciulli e giovinetti nel Collegio di Cantù, la sua vita fu segnata: la sua missione era di diventare padre delle anime dei suoi fanciulli e dei suoi giovani. E l’intelligenza, che si sarebbe altrimenti diretta a scandagliare i fenomeni della natura ed a riflettere sui problemi di pensiero, si rivolse invece a scrutare l’animo dei piccoli, degli adolescenti, dei giovani: invece che scienziato o pensatore, divenne educatore e padre. Qualcuno se ne rammaricò; qualcun altro si meravigliò di quella sua rinuncia ad un ideale di studio scientifico. Ricordo un insegnante di matematica, socialista, che gli domandava come mai, con il suo ingegno, si adattasse a “sciupare il tempo” con i ragazzi, ascoltandone le confessioni, visitandoli ammalati, giocando con loro ed organizzando i loro divertimenti. Rispondeva: “Non è tempo perduto, perché Gesù ha detto che di questi è il regno dei cieli. Soltanto bisogna amarli per poterveli introdurre”.
Che fosse del tutto naturale e spontaneo in lui l’amore ai ragazzi non direi; penso anzi che sia stato lungamente e fortemente conquistato, come conseguenza ed attuazione dell’amore a Gesù Cristo. Certo è che l’amore ad essi e l’aver sacrificato tutto per essi gli ha dilatato l’anima e l’ha affinata: arrivava ad avere delle finezze di mamma per noi. Come in questo episodiom testimonianza personale di un seminarista di Reggio: “Ero in terza ginnasio e mi trovavo in infermeria, ammalato. Ero solo, veniva a visitarmi immancabilmente due volte al giorno, come soleva fare con gli ammalati. Un giorno dovetti delirare: mi sembrò di vedere Sua Eccellenza al mio fianco; poi mi accadde di alzarmi e di cadere svenuto per terra … Mi risvegliai tra le braccia di S.E. che mi portò sul lettuccio …”.
Non amò però soltanto i fanciulli ed i giovani. Divenuto Vescovo il suo amore si diresse a tutti: senza sottrarre nulla ai piccoli ed ai giovani il suo cuore si allargò fino ad albergare tutti, e particolarmente il suo Clero. Ricordo una frase raccolta incidentalmente da lui nel novembre del 1941. Parlava delle difficoltà del clero nel meridione, delle condizioni spesso assai disagiate di vita e dello spirito di sacrificio che deve avere; mi diceva anche di quanto cercava di fare per aiutare i suoi sacerdoti, per confortarli; andava talvolta alla chetichella, anche con lunghe camminate a piedi a trovare i sacerdoti più isolati, perché avessero la gioia di non sentirsi dimenticati: “perché, sai, il primo dovere di un Vescovo è di amare i suoi preti e di prendersi cura della loro anima”.
L’educatore diventato Vescovo aveva conservato lo stesso cuore. È questo cuore sacerdotale che traspare da tutte le pagine della biografia e particolarmente da quelle provenienti da lui: brani di diario, lettere, scelte intelligenti di alcuni scritti pedagogici suoi, un “programma del Vescovo”. Nulla di artificioso e di retorico: un parlare ed uno scrivere nervoso, incisivo, schietto, che viene dal cuore. Tanto che alla fine del libro l’impressione più profonda che resta è appunto questa: un desiderio di rileggere le pagine di lui, soprattutto quelle nelle quali egli aveva condensato la sua esperienza ed il suo cuore, il suo amore e la sua comprensione dell’animo dei fanciulli, per raccogliere da una intelligenza così viva dei loro problemi e bisogni qualche raggio della sua luce, e più ancora per essere aiutati ad amare la gioventù “così come la amava Gesù”.
Forse la missione di Mons. Montalbetti fu proprio questa: attuare in un modo esemplare, per poterlo indicare agli altri sacerdoti, l’amore materno della Chiesa per la gioventù, che è in essa la continuazione dell’amore di Cristo. E ricordare a tutti che l’amore per la gioventù è una delle ‘note’ distintive essenziali ed una delle grandi risorse spirituali della vera Chiesa, la sposa di Cristo e madre Chiesa.
Mons. Montalbetti aveva scritto nel testamento spirituale: “Vorrei avere un’altra vita per dedicarla ai giovani… Accogli, o Signore, moltiplicato il sacrificio (della sua vita), secondo queste intenzioni, unito al tuo Sommo Unico sacrificio che solo mi dà speranza e fiducia”. La sua vita umanamente incompiuta ed il suo sacrificio forse nei disegni di Dio e nel suo desiderio avevano questo scopo: alimentare nella Chiesa l’amore alla gioventù, perché la sua vita ed il suo grande amore ai fanciulli ed ai giovani continuino in altre vite sacerdotali.
Bisogna essere grati al biografo che con la sua fatica ci ha trasmesso e reso vivo questo messaggio.
Don Carlo Colombo
"Riscoprire Montalbetti, la sua passione educativa è attualissima" di Domenica Calabrò su www.avveniredicalabria.it del 5 febbraio 2020
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